lunedì 21 marzo 2022

La corda d'argento


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Pedro Figueras da Pexels


C'è una sola ancora di salvezza quando si lascia volontariamente il proprio corpo e si attraversa il mondo degli spiriti. Non è un viaggio da compiere alla leggera, per mera curiosità di vedere quel che c'è oltre o, ancor peggio, per sfida. Non tutti ritornano da una simile esperienza, e chi ritorna, non è più lo stesso. Lo so, perché io ero una dei pochi fortunati.
La prima volta fu per cercare l'amore della mia vita, che troppo presto aveva lasciato questo mondo. È stato allora che notai il sottile filo lucente che collegava quel mio corpo caliginoso, perso in un mondo di nebbia, alla vita che ancora mi reclamava. Era l'unica parte di me che ancora sentiva qualcosa, ondate di panico e tristezza che mi raggiungevano attraverso quella corda d'argento, mentre il resto del mio corpo, o meglio, della mia anima inconsistente, non avvertiva che pace, immersa nel candore di latte. Camminai a lungo senza incontrare una sola presenza. Eppure la bruma brulicava di sussurri indistinguibili, vicinissimi, come se qualcuno, più di qualcuno, molte voci, mormorassero alle mie orecchie. Ma la nebbia che a tratti turbinava e sorgeva a formare bizzarri alberi dai rami intrecciati, o rocce irregolari che si disfacevano al mio passaggio, o filamenti che non assomigliavano a nulla di terreno non mi recò il conforto di incontrare l'anima che cercavo, o alcuna altra anima.
Ero sola. In un mondo senza tempo, senza spazio, senza amore.
Le dottrine religiose ci insegnano che inferno e paradiso sono due luoghi distinti, ma non è affatto così. Il mondo degli spiriti è uno, e lì pace e tormento sono la stessa cosa. Questo dissi agli agenti dei servizi segreti che mi avevano interpellato come ultima risorsa, quando rivelarono di essere dispiaciuti di dovermi inviare all'inferno per interrogare un terrorista morto.
Era anche il motivo per cui mi infliggevo tagli e bruciature, per tornare ad avvertire qualcosa in una pelle che non sentivo più mia; ma questo non glielo dissi, anche se ero certa che, prima di presentarsi a casa mia, quegli uomini si fossero più che adeguatamente informati sul mio conto.
Sapevo quello che pensavano di me. Mi definivano instabile, ma come si può non esserlo, dopo aver oltrepassato i confini della vita? Questa esistenza aveva perso ogni senso. Era solo una lunga attesa del trapasso, che non osavo anticipare soltanto per il timore che in quel caso, nel mondo al di là, la punizione sarebbe stata superiore alla ricompensa.
Eppure quando mi dissero che avrei potuto salvare migliaia di vite accettai senza riserve l'incarico, anche se non pensavo che in quel modo li avrei salvati, anche se pensavo che era solo un prolungare la loro sofferenza in un mondo di gusci pesanti, monotonia e necessità insensate.
Accettai perché tutto ciò che volevo era tornare là, nel mondo degli spiriti, e non avevo più osato farlo dopo la mia ricerca infruttuosa. Questa volta non ero personalmente coinvolta, e qualunque fosse stato l'esito della mia missione, ero convinta che non ne sarei stata turbata.
Accolsi con sollievo l'atmosfera rarefatta, i bisbigli nelle mie orecchie e i rintocchi di campane a vento e l'assenza di peso, e di desideri, che quel mondo candido imprimeva alla mia anima. Il lucore familiare della corda d'argento serpeggiava alle mie spalle mentre mi inoltravo nell'oceano di nebbia. Chiamai più volte il nome del mio obiettivo, il nome che gli agenti mi avevano fatto imparare a memoria, assieme alle domande da porgli, mentre mi mostravano una sua foto.
Dubitavo che l'avrei riconosciuto dall'aspetto. Quelli non sapevano proprio nulla del mondo degli spiriti. Ragionavo così, chiamando a gran voce un passo dopo l'altro, quando avvenne l'inaspettato.
Sentii un tocco sulla spalla. Proprio un tocco, un contatto in quel mondo privo di corpi o di pelle.
Non era possibile, mi dissi.
Poi lo avvertii di nuovo, più forte, una spinta contro il fianco sinistro. Mi voltai e vidi un'ombra, un turbinare di nebbia grigio scuro che teneva sollevate tra le sue spire la mia corda d'argento. Era quello il contatto che avevo avvertito mentre la nebbia senza volto, dalle sembianze vagamente umane, tratteneva il filo di luce in una mano, mentre l'altro braccio si allungava e si assottigliava.
– Grazie per aver chiamato – sussurrò roca, il tono di lieve sarcasmo.
Troppo tardi mi avvidi che ciò in cui il suo braccio stava mutando era una lama. – No! – urlai, ma lui già la stava calando sul mio unico appiglio alla vita. Avvertii una stilettata nelle profondità della mia essenza evanescente, poi più nulla.
Il lembo di corda che proveniva dalla mia anima cadde a terra, si spense, e svanì. Ero persa, davvero persa. Peggio. Ero immobile, muta quanto una statua, e per quanto ci provassi, non riuscii a raggiungerlo, a fermarlo. Potei solo guardarlo infilare nella sua essenza grigiastra, impura, la lucente corda d'argento che ancora portava al mio corpo, e rivolgermi un sogghigno dal volto che a mano a mano si faceva più simile al mio, prima di percorrere a ritroso il cammino verso la vita.
Verso gli ignari agenti che non sapevano che il loro nemico si sarebbe svegliato in mezzo a di loro. Verso i suoi complici ancora in attesa di portare a compimento i loro piani di morte.
Fissata in quell'ultimo istante, io non potevo far altro che guardare, e aspettare. Proprio come avevo fatto in vita, dal momento in cui ero tornata da quel primo viaggio nel mondo degli spiriti.
Aspettare che le anime inviate oltre la vita da colui che abitava il mio corpo mi trovassero, e mi infliggessero con la loro presenza il tormento che meritavo. Pensai che forse, con il tempo, il mio corpo di nebbia sarebbe svanito, e di me non sarebbe rimasto che un sussurro in mezzo agli altri, una voce nel vento. Quel pensiero era il mio unico conforto, svanire, dissolvermi, e già mi sembrava di avvertire la mia voce fra le altre. No, non era la mia immaginazione, i sussurri divenivano più chiari, cominciai a distinguere le parole, ripetute più e più volte, finché non capii che tutte le voci erano la mia voce, e che la mia voce pronunciava un avvertimento che fin da quel primo viaggio non avevo voluto ascoltare.
– Non sarei dovuta venire. Ho commesso un terribile errore.
La mia bocca immobile, aperta in quell'ultimo grido, si tese ancora di più in un urlo che non sarebbe mai uscito dalla mia gola.

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