lunedì 7 marzo 2022

Storia di una nave fantasma e di un Leviatano addormentato


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Ike louie Natividad da Pexels


C'era una volta un antichissimo mare, tanto vecchio che i nipoti dei nipoti dei nipoti di tutti coloro che ne avevano anche soltanto sentito parlare dai loro nonni erano ormai morti, e nessuno più tramandava ai viventi dove si trovasse, o quali pesci e creature nuotassero tra le sue acque. L'antichissimo mare, ormai divenuto un mistero, l'ombra di una pallida leggenda, permetteva a una sola nave di solcare le sue onde, ed era una nave quasi altrettanto antica, diversa da quelle che il vento sospinge sui nuovi mari.
Le sue assi erano rotte, le vele strappate, le sartie annodate o penzolanti. Eppure il veliero non affondava, anzi, arrancava nella nebbia, spinto dalle onde, più che dal vento che di tanto in tanto smuoveva appena i brandelli delle vele. Nel suo ventre ferito, che gemeva e scricchiolava ai pigri rollii di cui era preda, s'intravedeva di tanto in tanto tra le crepe e l'oscurità un bagliore bianco, un volto funereo, una bocca spalancata che emetteva un tetro lamento. La melodia malinconica di un flauto accompagnava il passaggio della nave fantasma tra gli scogli affioranti dall'antico mare, a cui rispondeva di tanto in tanto il rintocco della campana di bordo e un lugubre trascinarsi di catene nelle profondità della nave.
Fu così, in queste condizioni, che la trovò una notte un uomo sbucato dalla nebbia a bordo di una scialuppa di salvataggio. La nave da cui l'uomo proveniva era affondata ed egli non seppe mai come aveva fatto a ritrovarsi su quel mare sconosciuto, con la sagoma scura di un veliero di fronte a sé nel chiarore lunare, un veliero che non pareva in grado di galleggiare, eppure lo faceva.
Un altro uomo, qualcuno più saggio di lui, avrebbe girato la scialuppa e sarebbe tornato da dove veniva. Ma lui no. Forse fu sete di avventura, forse fu avidità, forse fu semplicemente mancanza di buon senso, ma l'uomo remò fino ad accostare la scialuppa alla nave, e legata la prima a un asse spezzato della seconda, l'uomo si arrampicò per raggiungere uno squarcio nello scafo abbastanza grande da permettergli di entrare. E così l'uomo vagò nell'oscurità del ventre della nave, e gli parve di udire pianti e lamenti tra lo scricchiolare del legno, e passi che non erano i suoi, e negli angoli bui, di tanto in tanto, gli pareva di scorgere una sagoma, un volto, che svaniva subito dopo. Inquietanti presenze abitavano la nave, e l'uomo le chiamò affinché si mostrassero apertamente, e seguì lo stridere delle catene che si allontanavano da lui, come volessero sfuggire al suo sguardo. Giunse quasi a pensare che la stanchezza gli avesse fatto immaginare tutto, finché non udì una voce di donna ripetere queste parole: – Il nostro lamento potrà cessare quando il Leviatano tornerà a vegliare; riprenderemo la forma normale se il mostro più non sognerà il male.
L'uomo alzò gli occhi e vide chiaramente, tra le assi spezzate del soffitto, fluttuare la figura di una dama bianca, con le vesti che le guizzavano intorno come sospinte da un vento impossibile. Dapprima ne fu sgomento, ma un attimo dopo un'altra voce levò fra quella cantilena monotona.
– Ah, non ci badare. – La voce era quella di un ragazzino, e volgendosi l'uomo vide un giovanotto aggrappato a una ramazza. Ma era un'apparizione traslucida, che come la dama bianca, non sembrava realmente lì. Nel fissarlo senza parole, l'uomo si avvide che nonostante l'apparente giovane età, il mozzo aveva occhi antichi, profondi e oscuri. – Lo dice sempre, ma non succede mai – proseguì il mozzo, e diede qualche colpo di ramazza sul pavimento.
– Qualcuno dovrebbe farlo – disse l'uomo, dopo un attimo di esitazione. – Svegliare il mostro, tornare alla normalità... non sarebbe bello se questa nave potesse ritornare alla vita, riprendere a navigare?
Il mozzo fantasma fece spallucce. – E chi vorrebbe mai provarci? Ah, ormai non ci speriamo più. Tanto, l'unico che conosce un modo per svegliare il Leviatano è il vecchio marinaio che sta sempre in coffa, di vedetta. Lui suona il flauto che ha addormentato il mostro. Lui lo più svegliare, ma non vuole.
– Se lui non vuole, lo farò io. Tranquillo ragazzo, spezzerò la maledizione che vi affligge. – L'uomo stava già per andarsene, ma la voce del mozzo lo trattenne.
– Va bene, ma... ascolta il mio consiglio. Non salire sulla coffa, fa' in modo che sia il vecchio marinaio di vedetta a scendere da te. Chiamalo dal basso, lui all'inizio non ti sentirà perché a furia di suonare quel dannato flauto ormai è diventato mezzo sordo. Ma con un po' di pazienza, prima o poi si accorgerà che sulla nave c'è qualcuno che non dovrebbe esserci, qualcuno di vivo, e scenderà a vedere di persona.
L'uomo annuì a quel consiglio, ma mentre se ne andava, già aveva in mente di fare le cose a modo suo. Non aveva voglia di aspettare che il vecchio marinaio lo notasse e scendesse, così fece proprio quello che gli era stato detto di non fare: salì fino in cima all'albero maestro e si issò sulla coffa.
Quando lo vide, il vecchio marinaio restò stupefatto, ma non smise di suonare, e allora l'uomo gli strappò il flauto dalle mani fantasma e se lo ficcò in bocca credendo che fosse facile da suonare, e invece l'unica cosa che riuscì a trarne fu una nota acutissima, stridente, penetrante. Così intenso fu quel suono sgraziato che perfino il fantasma del vecchio marinaio mezzo sordo si portò le mani alle orecchie, così intenso che nelle profondità dell'antichissimo mare un enorme occhio si aprì.
E allora, fra il rimprovero del vecchio marinaio: – Che cosa hai fatto, disgraziato! Hai svegliato il signore degli abissi, colui che doveva dormire! – l'uomo vide che la maledizione che affliggeva la nave fantasma era finalmente spezzata, ma non nel modo in cui lui credeva. Perché la forma normale di quella nave, troppo vecchia, davvero troppo, gli si rivelò nelle assi che marcivano sotto i suoi piedi, nell'albero maestro che crollava sul ponte, distruggendo quel poco che ancora restava integro e che già stava affondando, con l'acqua che zampillava dentro la stiva a riempire il ventre della nave per troppo tempo rimasto asciutto, protetto dai sogni del Leviatano che immaginava nel sonno una nave fantasma a solcare quel mare antico. Le anime intrappolate furono libere di trovare il riposo e la pace, non altrettanto l'uomo, che precipitò fra le onde del mare senza nemmeno più una scialuppa ad attenderlo, dato che la sua era affondata assieme all'antico veliero a cui l'aveva legata. E sarebbe affogato, lì da solo, in balia delle onde, se il Leviatano, che si era svegliato affamato e di pessimo umore grazie a quel fischio stonato, non fosse salito fino in superficie e non ne avesse fatto un sol boccone per colazione.
E questa, ragazzi miei, è la storia che viene narrata a ogni bambina e ogni bambino che pensa di essere il più bravo, di saper fare qualunque cosa meglio di chiunque altro, di avere tutte le risposte, e di non aver bisogno del consiglio di nessuno.

Nessun commento:

Posta un commento