giovedì 25 febbraio 2021

Senza ritorno

Ho già scritto diversi racconti ambientati nella casa dei protagonisti. Tra i tanti, se ti va di leggerli, ti segnalo:

Una coltre bianca come la neve (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/02/una-coltre-bianca-come-la-neve.html)
Horror vacui (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/05/horror-vacui.html)
Frugale (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/09/frugale.html)
La posizione del cadavere (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/la-posizione-del-cadavere.html)
Ecofobia (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/12/ecofobia.html)
Personaggio: Lisa Segni (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/03/personaggio-lisa-segni.html)
Zacchera (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/04/zacchera.html)
Personaggio: la signora Emilia (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/08/personaggio-la-signora-emilia.html)
Io e il folletto (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/12/io-e-il-folletto.html)
Apotropaico (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/05/apotropaico.html)
Tutto ciò che Silvia sapeva (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/05/tutto-cio-che-silvia-sapeva.html)


E ora passiamo al racconto di oggi. Per scriverlo ho utilizzato, come tappeto sonoro, Writer's Room (https://www.youtube.com/watch?v=3xQccqn8VtI&t=2119s) di Chetta Monster.



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Quando esci di casa, anche per un'escursione prolungata in luoghi impervi e lontani, non pensi mai che potresti non tornare. Non ti viene in mente che forse quella è l'ultima volta che varchi la soglia di casa, e che non rivedrai mai più le foto nelle cornici d'argento, la libreria con le sue file di copertine nuove, l'antico tavolo di legno massello macchiato di vino per un appuntamento che non è finito come speravi, e che non ha mai avuto un seguito. Persino il vecchio gatto dei vicini, che sgusciava sempre dentro casa dalla porta aperta sul giardino per strofinarsi contro le gambe e intralciarmi il passo, era una presenza fastidiosa ma che davo per scontata nella mia vita. Di cacciarlo con qualche minaccia non c'era verso, il vecchio bastardo era pure sordo, e c'era da chiedersi se quando faceva le fusa mentre io rischiavo di inciampare sul suo corpo grassoccio il volume del suo ronfare fosse così alto perché altrimenti non sarebbe riuscito a sentirsi. Strane le cose che rammento ora che sono lontano da quella vita.
Ad ogni modo, la pendola nel corridoio scandiva il tempo mentre riempivo lo zaino per l'escursione, e se non mi ci fossi fermato davanti nell'ultima ora che ho passato tra le mura di una casa, nemmeno mi ricorderei di come suonava il suo ticchettio regolare. I profumi, quelli non li rammento. A parte la fragranza dell'erba tagliata, quella sì: sapeva d'avventure, e di nuovi inizi, ed è così ironico che sia l'unico odore che mi sia rimasto dentro. Non so se sarei partito sapendo ciò che mi attendeva su quella montagna fatale, non ho idea di ciò che avrei fatto di diverso se avessi avuto un sentore del futuro. Forse avrei dormito un'ora in più tra le lenzuola del mio letto. Forse avrei assaggiato per l'ultima volta un piatto di spaghetti alla carbonara, i miei preferiti. Non posso più mangiare carne morta, da quando sono cambiato. Ho visto ciò che fa a quelli come noi.
Forse, forse... questo gioco dell'immaginare ciò che non è stato, e che non sarà mai, non ha alcun senso. Scribacchiai una nota, questo lo ricordo, per informare dove stavo andando i pochi parenti che avevano la chiave, in caso fossero passati da casa mia; poi attaccai la segreteria telefonica e spensi la televisione. Ciò che è certo è che stavo ignorando le immagini del telegiornale, le prime notizie sugli escursionisti dispersi proprio là dove io stavo andando. Principianti, mi dicevo, gente senza alcuna esperienza che andava allo sbaraglio e non pensava alle conseguenze. A me cose del genere non possono capitare.
È questo che ci diciamo sempre, per negare l'ovvia verità: può capitare agli altri, non a me. Mai a me.
È così che ho varcato la soglia a cuor leggero, zaino in spalla, e dopo aver cacciato di casa il gatto del vicino ho chiuso a chiave la porta per l'ultima volta, prima di trarre di tasca le chiavi dell'auto.
Certo, al cambiamento che mi attendeva su quella montagna io sono sopravvissuto, a differenza degli altri. Avrei potuto tornare, se avessi voluto. Ma ho rinunciato a quella casa quando ho rinunciato al mio nome, e tutto ciò che contiene appartiene a una vita in cui io non abito più. Non mi riconoscerei nell'uomo intrappolato in quelle cornici d'argento, ora che il mio corpo può mutare a un guizzo della mia mente. Il ticchettio di quella pendola non scandisce più il mio tempo. E i tasti della vecchia macchina da scrivere abbandonata sulla scrivania dello studio già molto tempo prima della mia partenza, un mero soprammobile, il residuo di un'epoca che non ho mai vissuto, non fisseranno mai sulla carta la mia storia, la vita di una creatura così cangiante che solo una voce che subito trasfigura nel silenzio può lasciarne un'effimera traccia.

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