giovedì 2 dicembre 2021

Il tesoro del tempio


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Foto di Jose Aragones da Pexels


Il momento più favorevole per portare a termine il colpo era la notte subito dopo l'iniziazione di un cadetto, poiché quella era l'unica occasione in cui i morigerati Paladini di Andronicus si lasciavano andare ai festeggiamenti, e crollavano addormentati, in alcuni casi, ben prima di raggiungere le proprie austere celle. Così mi aveva detto il mio contatto nelle cucine, specificando che quelle erano le uniche notti in cui nessuno si sarebbe recato tra le navate del tempio per pregare o anche soltanto per una ronda. Avevo via libera, dunque, e ne avrei approfittato.
Ma prima, dato che anch'io per quanto ne sapevano ero un cadetto di una rispettabile famiglia che aspirava a intraprendere la via del Paladino, mi era toccato assistere all'interminabile cerimonia di investitura del fortunato di turno, una noiosa e prolungata lettura del Codice di Andronicus accompagnato da canti solenni, rintocchi di campane e gesti rituali, le stesse inutili bazzecole che stavano inculcando anche a me.
A una cosa però mi era servito tutto quel cerimoniale: dopo tanto tempo in cui erano stati soltanto esposti, durante i riti che si svolgevano nel tempio ogni santo giorno, alcuni paramenti sacri, qualche gioiellino e un paio di stoviglie d'oro incrostate di gemme preziose, finalmente il tabernacolo dietro l'altare, quello che conteneva il vero tesoro, era stato aperto dal capo dell'ordine proprio di fronte ai miei occhi.
Avevo prestato la massima attenzione ai movimenti dei suoi gomiti, per poter in seguito ricostruire lo scorrere delle sue dita, celate dal suo corpo, sui tasselli del rompicapo che chiudeva il tabernacolo. Ero stata attenta, anche, a notare come si presentava il mosaico sul riquadro, sull'anta del tabernacolo rivolta dalla mia parte, una volta che questo venne aperto dal capo dell'ordine. Mentre tutti ammiravano le reliquie benedette, io memorizzavo la forma creata dai tasselli.
La cena che ne era seguita era una pura formalità per me, che già fremevo per concludere al più presto l'ultimo "rito" dei Paladini di Andronicus a cui avrei assistito in vita mia. Quella mascherata era durata fin troppo, e non vedevo l'ora di arraffare il tesoro e andarmene da quel luogo di insulse virtù e comandamenti rigidi. Mi ero annoiata abbastanza a fingermi uno di loro.
Era andato tutto bene. Era proprio una fortuna che quei bellimbusti fossero così accecati dalle loro luccicanti armature da non riuscire nemmeno a immaginare che qualcuno come me potesse violare le loro regole. Si erano solo preoccupati che avessi i requisiti giusti, quelli abilmente falsificati dalla banda a cui mi ero unita, poiché di solito chi tentava di intrufolarsi tra i loro ranghi senza averne il diritto erano uomini dalla moralità discutibile o non abbastanza nobili per i loro gusti.
Mai avevano dovuto verificare che l'uomo che si presentava alla loro porta fosse realmente un uomo.
Mi attardai alla tavola quanto bastava per assicurarmi che quanti erano rimasti non avessero altra intenzione che quella di andare a letto o crollare sul posto, poi mi finsi uno dei primi e sbadigliando e barcollando mi allontanai verso gli alloggi dei cadetti. La campana batteva le ore della notte, e i canti biascicati dei Paladini rimasti nel refettorio si affievolivano dietro di me.
Quando raggiunsi il punto in cui il modesto corridoio si immetteva in un altro più ampio, svoltai dalla parte opposta agli alloggi. Non c'era nessuno nei dintorni per indicarmi che stavo andando nella direzione sbagliata, nessuno a inseguirmi alla luce delle fiaccole che gettava lunghe ombre sul pavimento, nessuno tra le navate del tempio in cui i miei passi risuonavano lievi. Mi mossi con attenzione, per causare meno rumore possibile. L'eco non aveva mai riecheggiato così intensamente tra le colonne e la volta del tempio, quando questo era gremito di Paladini e di cadetti. Quasi rimpiangevo quei canti salmodiati, così tediosi, ma tanto utili per coprire i rintocchi delle mie suole sul pavimento di marmo.
Aggirai l'altare con una frenesia euforica che mi costringeva ad accelerare il passo. Era quasi fatta. Quasi.
Le mie dita trovarono i tasselli levigati da tanti tocchi, e iniziai a spostarli secondo i movimenti che avevo ricostruito mentalmente durante la cena. Ero sicura di avere la sequenza giusta, sicura come lo sarei stata se me l'avesse insegnata il gran capo in persona. Un ghigno mi piegò le labbra quando alla fine mi apparve il riquadro composto nel modo in cui l'avevo visto quel pomeriggio, e udii il lieve clic della serratura.
Aprii il tabernacolo e non mi voltai quando udii nel tempio il rimbombo dei passi di un altro uomo, solo pensai con disprezzo quant'era goffo il mio complice infiltrato nelle cucine, ovvio che non avrebbe mai potuto interpretare la parte di un aspirante Paladino. Ero certa che non poteva trattarsi di altri che di lui, perché chiunque altro mi avesse sorpreso lì in quel momento avrebbe in primo luogo dato l'allarme. Sfiorai con le dita il prezioso tesoro dentro il tabernacolo, constatando che c'era molto di più di quello che ci era stato mostrato nel pomeriggio, ma non feci in tempo ad afferrarlo che una stretta decisa mi afferrò per una spalla, mi tirò indietro e un'altra mano si infilò sotto il colletto della tunica e mi strappò fino al petto la veste, mettendo in mostra la fasciatura con cui avevo celato le mie scarse curve.
Poi venni gettata a terra, e un urlo risuonò tra le pareti del tempio: – Cagna sacrilega, come hai osato!
Fissai il Paladino con aria di sfida. Allora non erano tutti così stupidi. Ma era uno soltanto, e se il mio complice si sbrigava a raggiungermi, avremmo potuto sopraffarlo e svignarcela col tesoro.
Invece, dalle ombre dietro le colonne emerse una fila di Paladini. Per Galam, che sfortuna nera!
– Profanare questo sacro luogo – enunciò severo l'anziano capo dell'ordine, e dopo una smorfia disgustata proseguì: – Lordare con la tua carne lasciva le sacre reliquie! Tu, demone oscuro della lussuria, che vieni tra di noi abbigliata in modo così sconcio per tentarci!
E tanti saluti alle cavalleresche regole di galanteria contenute nel loro codice. Scoppiai a ridere.
– Vi assicuro che giacere con uno di lorsignori era l'ultima cosa a cui miravo – pronunciai in modo chiaro, la voce ancora impostata sul tono profondo che avevo usato per impersonare un giovanotto, nonostante fossi stata scoperta. Come, non lo sapevo, ma dal momento che il mio complice non si era visto, potevo solo supporre che lui avesse cantato. Questo poteva spiegare come sapessero del nostro piano per rubare il favoloso tesoro del Tempio dei Paladini di Andronicus, ma non come avessero scoperto che ero una donna, perché questo il mio complice di certo non lo sapeva.
Quel dannato traditore. Non mi faceva pena neppure se lo avessero torturato per estorcergli le informazioni.
Feci per alzarmi, ma a un cenno dell'anziano Paladino, gli altri sguainarono le spade. Altri Paladini bloccavano le porte di accesso del tempio, e la porticina che conduceva alla sacrestia.
– Come lo avete scoperto? – chiesi, non perché mi interessasse, ma giusto per prendere tempo, mentre cercavo una via d'uscita da quella brutta situazione. Le vetrate che davano sull'esterno? Forse, se fossi riuscita a infrangerle e ad arrampicarmi...
I Paladini però non caddero in quel tranello, nessuno di loro si perse nell'inutile compito di dar fiato alla propria vanagloria e supposta superiorità morale. Forse non intendevano ammettere quanto avessero deviato dal loro prezioso codice per smascherarmi, o si vergognavano di essere stati ingannati tanto a lungo prima di scoprirlo.
Il Paladino che mi aveva atterrato mi afferrò per le braccia e mi costrinse a rialzarmi, poi mi legò i polsi dietro la schiena. Li guardai tutti, come a sfidarli ad abbassare lo sguardo allo strappo sul davanti della mia tunica, che pure metteva in mostra solo le bende che mi fasciavano il petto.
– Sai qual è la punizione per il tuo crimine, vero, ragazza? – chiese in tono truce il Paladino alla destra del gran capo.
Non risposi, non ce n'era bisogno. I Paladini avevano il loro codice, ma anche io avevo il mio. E il mio diceva che finché avevo fiato in corpo, potevo ancora ingannare, blandire, manipolare chiunque, chiunque, persino la morte.

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