giovedì 30 dicembre 2021

Due strade


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Leo Caldas da Pexels


Due strade divergevano di fronte a me, ma non ero in un bosco, e la mia vita non era una poesia. E, stando a quanto ne sapevo, se i miti erano reali, nessuno aveva più percorso una delle due da lungo tempo, e se non lo erano, nessuno prima di me le aveva mai percorse. Ero da solo a dover prendere quella decisione, solo al cospetto dell'incalzante ghigno di una figura mutevole, talmente cangiante che era difficile soffermare lo sguardo su di essa. Ali d'angelo, ali di diavolo, volto d'uomo, poi di una bestia. Mio padre, che lui sia dannato.
All'inizio il luogo abitato da lui e dai suoi compagni mi pareva altrettanto incostante, un paesaggio in continuo divenire, come se ogni passo mi trasportasse in altre dimensioni. Luoghi familiari, la mia casa, la scuola, le colline di Tana del Diavolo dove avevo passato l'infanzia con mia madre e le mie "zie", e altri che non avevo mai visto se non in una foto, il Gran Canyon, la steppa russa, un ghiacciaio sulla vetta dell'Himalaya. Scorsi lui per la prima volta tra le colonne del chiostro di un monastero benedettino, tra tutti i luoghi del mondo, che ironia! Sebbene, in quel momento, non potevo essere certo che fosse lui. M'ingiunse di seguirlo, e persino la sua voce mutava timbro e accento ad ogni parola, e finanche lingua, di tanto in tanto. Fortunatamente, la comprensione di ogni idioma è un talento di famiglia che avevo ereditato, assieme ad altre, più fastidiose prerogative.
Gli dissi che non immaginavo così l'inferno, e lui con un sogghigno fissò quel susseguirsi psichedelico di diapositive in una singola immagine, molto più caratteristica.
Fiumi di lava ribollente da cui si ergevano guglie frastagliate di roccia nera, simili ai denti di un'enorme belva, lambiti da fuochi eterni che ardevano ovunque, e puzza di zolfo e odore di bruciato e un vento rovente soffiato da geyser che spruzzavano vapori e lapilli fino a un cielo oscuro percorso da fiamme e fulmini, un'insolita, spaventosa aurora boreale.
– Ora è di tuo gradimento? – mi schernì lui.
Che fosse simile a come gli antichi scrittori descrivevano le bolge infernali oppure no, non intendevo restare in quel luogo, in sua compagnia, più a lungo di quanto fosse necessario.
– Sai perché sono venuto, e non è certo per ammirare il paesaggio – gli dissi.
Ero disposto a combattere per Evangeline, o almeno a provarci. Non potevo lasciarla nelle sue mani, non dopo quello che mi avevano raccontato di loro mia madre e le mie zie. I Caduti potevano sembrare affascinanti, ma non erano altro che mostri.
Tra il gorgoglio del magma risuonò un ruggito possente, come di un'enorme bestia, un drago, o qualcosa di simile.
– La ragazza, lo so. I miei fratelli non saranno contenti, è una goduria terrorizzarla e inseguirla! Ma faranno ciò che dico. – Lui mi si avvicinò e allungò una mano in quella che sarebbe dovuta essere una carezza paterna, non fosse stata troppo brusca, rapida, e dolorosa per le sue dita che a tratti mutavano in artigli, lasciandomi graffi sulla guancia. – Dopotutto, tu vali molto di più, figlio mio.
Un tempo, prima di sapere chi era davvero, avrei dato qualunque cosa per rivederlo. Adesso mi infastidiva il suo ribadire una parentela che avrei volentieri rinnegato.
Fu allora, mentre risuonavano risate sguaiate e le urla di Evageline, che mio padre mi parlò del patto di Proserpina, un'antica tradizione, e nel mio caso, una scelta.
Le metaforiche strade che lui mi proponeva divennero strade reali in quel luogo plasmato dal pensiero, cammini lastricati di pietra nera, nelle cui crepe rilucevano bagliori infuocati. Una strada conduceva indietro, verso la porta su questo mondo aperta dalla magia di mia madre e delle mie zie, frutto di conoscenze apprese quando i Caduti vivevano con loro. Quella era la strada che avrei percorso da solo, per non tornare mai più.
L'altra conduceva a Evangeline, ma per percorrerla dovevo accettare il patto che mi vincolava alla promessa di tornare da lui all'equinozio di autunno, e restare per sei mesi. Per apprendere, cambiare, diventare meno umano e più simile a lui. E forse, nelle sue intenzioni, rinnegare mia madre e ogni sforzo di controllare il mio potere e sembrare un ragazzo normale, come lei e le altre donne mi avevano insegnato.
Qualunque cosa, per salvare Evangeline.
Scelsi quella strada, e dunque mi fu permesso di andarmene, per il momento, con la ragazza svenuta tra le mie braccia. Pochi giorni all'equinozio d'autunno, giusto il tempo di riportarla nel mondo umano e assicurarmi che stesse bene. Forse, se fossi riuscito a trovare le parole, darle qualche spiegazione per ciò che aveva patito a causa mia, nel caso non fosse stata benedetta dall'oblio.
Un coro di ruggiti rabbiosi mi accompagnò sulla via del ritorno. Le storie raccomandano di non farlo, eppure mi voltai indietro, e scorsi dal mare di magma sorgere una città di ossidiana e di lingue di fiamma. Un lampo in cielo si biforcò in due vie frastagliate, a ricordarmi che era stata mia la scelta.
– La tua casa ti attende, figlio – sibilò la figura mutevole, a tratti mostruosa, che non avevo affatto il desiderio di conoscere meglio o riconoscere come padre. – Non tardare, o altre barriere si infrangeranno con questa promessa.
Era la sua minaccia: impossibile immaginare che si fidasse semplicemente di me. Aveva legato la parola che gli avevo dato all'incantesimo con cui mia madre e le altre avevano protetto l'intera collina di Tana del Diavolo, quando li avevano cacciati dalle loro vite.
Non dissi mai a loro, né a Evangeline, che avrei potuto evitare ciò che mi accadde se solo le avessi amate di meno.

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