lunedì 6 dicembre 2021

Occhi


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Lisa da Pexels


Non so più da quanto tempo sono chiuso qua dentro, i giorni e le notti si susseguono uguali, nella stessa identica penombra scandita dal gocciolio dalle pareti umide e dall'occasionale zampettare dei topi che infestano questa prigione. Prigione, esatto, prigione, sebbene non abbia commesso alcun crimine, e nessuno mi abbia giudicato colpevole, non saprei in che altro modo definire questi corridoi labirintici e sozzi, su cui si aprono piccole stanze vuote separate da grate metalliche. Ogni tanto, in lontananza, le sento cigolare e scorrere, e qualcuno urla, ma non ho mai visto altri prigionieri, né guardie qua dentro, perciò non so davvero chi possa aver gridato, o fatto scorrere le catene negli anelli di ferro infissi nelle pareti.
Non so che giorno è. Non so dove mi trovo, o perché sono qui. Non so se c'è qualcun altro, o se sono solo, ed è l'isolamento a indurmi a immaginare di avere dei compagni di sventura. Una cosa però la so per certo: le pareti hanno gli occhi. Piccoli occhi malevoli che mi fissano, scrutano ogni passo che compio, ogni gesto che faccio. Esaminano, vagliano, studiano. Oh no, non li ho mai visti, ogni volta che mi giro spariscono, o si chiudono confondendosi con i muri, eppure so che ci sono. La sensazione di essere continuamente osservato è troppo forte per essermela immaginata, più intensa di quella che avevo all'inizio, che le pareti mi si stringessero addosso, soffocanti, claustrofobiche lastre di granito pronte a stritolarmi. Ora no, dopo... forse mesi passati qui dentro, il loro abbraccio è quasi confortante. Ora mi spaventano gli spazi aperti delle celle, i corridoi più larghi che ogni tanto incrociano il mio vicolo, e le porte aperte. Mi sono abituato a tutto questo, io qui dentro ci sto bene. Ma non mi sono mai abituato alla morbosa curiosità degli occhi.
Loro mi guardano. Sempre. Non ho mai un momento di pace, mai un momento per me da quando sono qui, e mi sembra di impazzire. Ho tirato pugni alle pareti, per farle smettere di guardarmi. Ho grattato, e scavato, e cercato perfino di morderle, per cavare loro gli occhi, tutti quegli occhi, grandi e piccoli, blu e neri, tondi sottili infossati sporgenti occhi...
Ma è tutto inutile.
Loro non smettono mai di guardarmi.

***

Quezy scosse una delle sue tre teste. – Ancora a guardare il nuovo Prigionereality? – chiese al più giovane dei suoi cloni. Il più malriuscito, a sua detta: lei, a quell'età, non era mai stata ossessionata da simili perditempo. – Adesso basta! – sbottò Quezy, poi afferrò con i sui tentacoli il multicomando e spense il collegamento virtuale.
– Ma noooooo! – protestò il giovane clone, emerso di botto dal torpore del collegamento. – Proprio adesso che hanno inserito quel nuovo ospite... un alieno dall'aspetto così strano! E si comporta in modo strano, pure. La sua scheda dice che la sua specie viene da un pianeta mai sentito prima, si chiama, se non ho capito male, qualcosa come Tera... Terza... Terra? Ah, dovresti vederlo, è così buffo...
– Non m'importa come si chiama o com'è fatto o che cosa fa – blaterò Quezy con le sue cinque bocche, mentre la miriade di occhi sulle teste, sul torace e sui tentacoli erano tutti puntati sul clone. – Se non riordini subito la tua stanza, altro che Prigionereality, ti spedisco in una reale prigione, e senza nessun occhio che ti possa guardare!

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