giovedì 7 aprile 2022

67%


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Thanh LY da Pexels


Il complesso era un labirinto di appartamenti costruiti uno sopra l'altro circa un secolo fa. Era un miracolo che quel guazzabuglio di spigoli, mura grigie e finestre opache avesse resistito alle intemperie, al tempo, ai terremoti, alla violenza dei suoi residenti e al Giorno delle Urla.
– Be', eccoci qui – bofonchiò Stan Brooks. Imponente, il collo taurino e le braccia conserte, la pelle grigia come le mura che ci accingevamo a varcare e altrettanto butterata, del nostro trio era quello che più dava l'immagine della forza bruta che potevamo scatenare sui sospettati più recalcitranti. I gran capi non erano ancora d'accordo su come chiamare la variante umana a cui apparteneva Brooks, ma la maggior parte si riferiva a loro come "troll", e a Stan pareva andar bene.
– Secondo voi è vero? – ci chiese Ryan Martin, facendosi avanti mentre controllava gli ultimi dati sullo schermo virtuale. Alto e aggraziato, la voce melodiosa e il viso quasi femminile tra le orecchie a punta, non era stato difficile denominare la sua variante umana "elfi". Ryan era il nostro tecnico, la mente del gruppo, e non era una vista affatto insolita, sia in centrale che quando ci spostavamo per un'indagine sul campo: gli elfi erano una tra le varianti umane più numerose. – Insomma, capisco tutto, ma... un drago?
– Ah, io non mi stupisco più di niente – risposi, la mano sulla pistola nella fondina. – Che ne sappiamo, magari una lucertola ha inalato il gas ed è cresciuta. E ha messo le ali. I gran capi stanno ancora studiando il fenomeno, magari sugli animali fa effetto più lentamente... ok, ok, la smetto di parlare – conclusi, sentendo su di me lo sguardo degli altri.
Ed eccomi qua, Brian Eddings. Io... non ero esattamente sicuro di cosa ci facessi nella squadra Controllo Varianti, ma Stan e Ryan erano miei amici, così quando si erano offerti volontari, lo avevo fatto anch'io. A costo di suscitare l'ilarità del resto del distretto, perché in un mondo di tizi particolari e creature insolite, io ero il più strano di tutti.
Quando il Giorno delle Urla cambiò per sempre il mondo, io ero con la mia ragazza in una grotta nello Utah. La fuoriuscita del gas dalle viscere della terra ci investì in pieno, e mise fine improvvisamente alla nostra vacanza speleologica. Ci vollero alcuni giorni affinché le strutture gerarchiche si riorganizzassero e riportassero una parvenza di ordine in un mondo piombato nel caos, perciò all'inizio nessuno ci venne a cercare. Gli scienziati stimarono che fosse sopravvissuta al Giorno delle Urla solo il 67% della popolazione umana, ma come i fatti dimostrarono più avanti nel tempo, la loro stima era sopravvalutata. Non avevano calcolato i danni collaterali che la perdita di un terzo della popolazione mondiale, unita alla tortura sopportata dai sopravvissuti, avrebbe causato sia il primo giorno che i successivi. Non tutti i piloti degli aerei di linea, ad esempio, erano riusciti a effettuare un atterraggio di emergenza in tempo. Lo scoprii quando chiesi notizie dei miei genitori.
Jenna, la mia ragazza, non rientrò in quel 67%. Io invece mi svegliai in un ospedale improvvisato qualche giorno dopo. Avevo dolori in tutto il corpo, ma ero vivo. Il dottore che mi visitò aveva qualcosa di strano, ma non riuscii a capire subito che cosa. Solo più tardi riconobbi in lui l'aspetto etereo e le orecchie a punta degli elfi. L'infermiere invece aveva un paio d'ali, e piume che gli spuntavano dai polsini e dal colletto. Lì per lì pensai che lo avessero richiamato in fretta da una festa in maschera, e che non fosse ancora riuscito a cambiarsi.
Entrambi mi fissavano come se mi fosse spuntata una seconda testa, e mormoravano tra loro che non capivano come fosse stato possibile, o che cosa avessi io di diverso rispetto agli altri.
In un mondo in cui i mostri e le creature mitologiche camminavano alla luce del sole, io ero uno dei pochi esseri umani rimasti. Quelli come me si contavano sulle dita delle mani.
Mi fecero tutti gli esami possibili, ma non riuscirono mai a capire che cosa mi avesse preservato intatto o come estendere la mia immunità agli altri. Così, dopo aver dato il mio inutile contributo alla scienza, ero tornato al lavoro. Molti colleghi e amici non c'erano più, e il resto, stentavo a riconoscerli. Però Stan e Ryan c'erano ancora, e nonostante loro fossero diventati due specie di supereroi e io fossi rimasto un comunissimo Joe qualunque, mi ero unito a loro nella squadra che si occupava dei casi più difficili di tutto il distretto. Avevamo visto cose assurde come fanciulle velenose che davano il bacio della morte ai loro amanti, vecchi dalla faccia sciolta come una candela di cera che incendiavano qualunque cosa toccassero, orrende creature cannibali dalla bocca larga e i denti aguzzi.
Un drago, però, non lo avevamo affrontato mai.
– Che facciamo, andiamo a bussare di porta in porta come testimoni di Geova? – ironizzò Brooks.
Dal ventre del labirintico condominio provenne un terrificante ruggito.
– Direi che non serve. – Martin ci indicò un puntino lampeggiante sulla planimetria contorta del complesso visibile sullo schermo virtuale. – Trovato.
Salimmo una scala di sicurezza esterna, e poi da una terrazza usammo i rampini per arrampicarci sulla successiva. Martin voleva scrutare all'interno prima di avventurarci nella tana del presunto drago, ma non riuscì la scorgere nulla. La parte interna del vetro era completamente ricoperta da candidi fiori di ghiaccio, e al tatto la finestra era fredda. Da quella posizione, i ruggiti sordi da dentro l'appartamento parevano proseguire incessanti, sovrapposti solo di tanto in tanto da tintinnii e scricchiolii e acciottolii che sembravano indicare la caduta di oggetti di metallo o di detriti rocciosi.
Martin applicò lo scioglivetro, spezzò il ghiaccio e fece scivolare di lato quel che restava della porta finestra scorrevole. Entrammo in un mondo di gelo.
I nostri respiri si condensarono in vapore, e almeno io tremai per il freddo. – Ma stiamo scherzando? Siamo in maggio, perdio! – sussurrai.
Martin mi fece cenno di tacere. Estraemmo le pistole dalle fondine e ci addentrammo nell'appartamento. Solita formazione, Brooks davanti, io in seconda fila, e Martin nelle retrovie. Diceva sempre che la sua mira era perfetta anche da lontano, e che in caso ci fosse stato da scappare, lui era il più veloce.
Trovammo quel che cercavamo seguendo i brontolii rabbiosi della bestia fino alle camere da letto. Dico "camere", perché diverse pareti erano crollate, rendendo quello spazio un unico vasto ambiente, che stalattiti di ghiaccio e gocciolii d'acqua che si congelavano sul pavimento rendevano simile a una grotta alpina.
Trovammo quel che cercavamo, un enorme, minaccioso drago blu dal lungo collo e le ali membranose, e anche qualcosa che non cercavamo: una donna dalla pelle blu, leggermente traslucida, gli occhi ciechi e scie di vapore che le danzavano attorno alle braccia, assumendo di tanto in tanto forme umane o animali.
L'avremmo detta una statua intagliata nel ghiaccio, non fosse stata sospesa a una decina di centimetri sopra un cumulo di gioielli e monete, che i vapori sulle sue braccia scendevano a risistemare ogni volta che un crollo ne deformava la perfetta forma conica.
– Un drago, e un'aberrazione – constatò Martin. – Le nostre probabilità di sopravvivenza scendono al 67%.
Un'aberrazione. Era questo il nome collettivo con cui gli scienziati definivano le varianti umane più rare, ed era loro opinione che tali varianti, nella maggior parte dei casi, fossero mentalmente instabili. Io e i miei colleghi potevamo confermare quella congettura, poiché in tutti i casi in cui eravamo intervenuti c'era di mezzo un'aberrazione. Troppo potere, che le aberrazioni rivolgevano contro gli altri o contro se stesse, le rendevano pericolose, incontrollabili. In altri casi non riuscivano ad accettare una metamorfosi così radicale, e folli di dolore, preferivano dar seguito con le azioni ai loro deliri paranoidi, cercando colpevoli da punire piuttosto che accettare che eravamo tutti sulla stessa barca. Io stesso, tecnicamente, ero un'aberrazione, ma finché dai controlli periodici risultavo idoneo, potevo continuare a lavorare nella polizia. E mia sorella, anche lei, sì, era stata un'aberrazione.
La ragazza più bella dello stato. Aveva partecipato a diversi concorsi di bellezza da giovane, vincendo più di una fascia da Miss. E all'improvviso, dopo il Giorno delle Urla, si era ritrovata nei panni di una mummia carbonizzata, la pelle nera come ossidiana, senza capelli, senza naso, orribilmente sfigurata. Non ero con lei per proteggerla, per aiutarla. Io ero ancora in ospedale. La sentii al telefono, ma non volle che la vedessi, non fece entrare in casa nessuno.
Poche ore dopo quella telefonata si lanciò nel vuoto dal suo appartamento al 112° piano. Perciò sì, posso confermare che le aberrazioni sono mentalmente instabili, per esperienza personale.
Il drago blu spalancò le ali e ruggì contro di noi. Brooks, per nulla intimorito, lanciò la sua mole granitica contro la bestia.
– Aspetta! – gli ingiunsi, ma lui non mi diede retta. Certe volte, anche chi non era un'aberrazione non era proprio tanto sano di mente.
Brooks scartò di lato e puntò la ragazza di ghiaccio. Quella agitò le braccia e intonò una litania, e una folata di vento gelido ci colpì in pieno da chissà dove, facendoci vacillare.
– Andate via! – urlò quindi la ragazza di ghiaccio, con voce tagliente. – Lasciatemi in pace!
Il drago alzò la testa e un bagliore azzurro gli si accese tra le fauci spalancate. Io e Martin entrammo nella stanza e scaricammo i caricatori sulla testa del drago, ma senza sortire alcun effetto.
La ragazza di ghiaccio rise, poi ricominciò a cantilenare e ad agitare le braccia.
– Deficiente di un elfo e di un umano – bofonchiò Brooks, che invece non aveva sparato nemmeno un colpo. Sollevò come niente un comodino, con una mano sola, e lo scagliò verso la mostruosa creatura. – Ma non lo vedete che è un trucco? È un'illusione, è lei, lo sta facendo lei!
Il comodino attraversò il corpo del drago e si infranse contro la parete ghiacciata alle sue spalle. Allora ci rivolgemmo tutti e tre verso la ragazza di ghiaccio.
– Smettila, per favore! Non siamo qui per farti del male, vogliamo solo parlare! – urlò Martin, nel fragore sempre più assordante del ruggito del drago e del turbine di vento che circondava la ragazza. Il solito ottimista. Quando mai aveva funzionato?
Mi schermai gli occhi, perché la luce tra le fauci del drago e il bagliore dei vapori che danzavano sulle braccia della ragazza di ghiaccio stava diventando insopportabile. Quasi quanto il freddo che mi congelava le ossa. Intravidi soltanto, tra le palpebre socchiuse, il momento in cui la ragazza stese le braccia in avanti con un grido. Allora una nuova folata ci investì, più rapida e feroce della precedente, e quando sentii una lama di ghiaccio sfiorarmi la spalla d'istinto mi gettai a terra.
Brooks sparò un colpo. Uno soltanto.
Vidi la ragazza cadere a terra a pochi metri da me. La fronte era deturpata da una bruciatura e da un minuscolo foro. I bagliori sulle sue braccia si erano dissipati, così come il drago con sui aveva terrorizzato il vicinato. Brooks aveva ragione: non c'era mai stato un drago.
Mi strofinai le braccia e le gambe mentre mi rialzavo. – Beh, stavolta me la sono vista veramente brutta. Pensavo davvero che ci avrei rimesso la pelle. Insomma, tu sei quello forte e Martin quello veloce, ma io? Voi siete il 67% che sopravvive, io sono quello sacrificabile della squadra, e... ok, ok, la smetto – mi affrettai a concludere, quando Brooks si voltò a fissarmi con sguardo truce.
– Pensavo di poterla salvare – brontolò Brooks – Comunque, il 67% di sopravvivenza era sottostimare le nostre possibilità, sapientone.
– Io no... non... credo...
La voce di Martin ci giunse incerta e flebile da dietro le spalle. Ci voltammo a guardarlo. Si reggeva in piedi a malapena, e una lama di ghiaccio sottile e trasparente gli spuntava dal petto. Prima che potessimo accorrere ad aiutarlo, Ryan Martin cadde all'indietro, colpì il pavimento e la lama di ghiaccio si frantumò. Il sangue iniziò a sgorgare. Accorremmo al suo fianco.
Senza dire una parola Stan Brooks tamponò la ferita mentre io chiamavo il distretto per richiedere aiuto.
Ma fu tutto inutile.

Nessun commento:

Posta un commento