giovedì 14 aprile 2022

Eravamo quattro amici in baita


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Andrea Piacquadio da Pexels


Anselmo rientrò in salotto tutto ringalluzzito, come se all'improvviso qualcuno gli avesse levato di dosso vent'anni. Gli altri tre vecchiardi, sparsi tra il divano e le poltrone, lo fissavano con l'aspettativa con cui si segue la colata di cemento in un cantiere.
– E allora? – chiese Piero in tono stridulo. Gli altri due borbottarono tra loro.
– Tutto fatto! – annunciò Anselmo, ridacchiando. Accennò a due passi di balletto saltellante, mentre raggiungeva la poltrona più vicina.
– Che ha detto? – urlò Ernesto, che non ci sentiva più tanto bene.
Gioacchino dovette togliersi dal viso la maschera dell'ossigeno per sussurrargli con la poca voce che aveva: – Ha detto... che ha fatto...
Ma a quel rantolo incomprensibile, Ernesto lo fissò stranito e urlò un: – Eeeeh?
– Tutto fatto! – ripeté Anselmo a voce più alta. Batté le mani, e ancora rise. – Gli abbiamo combinato proprio un bello scherzetto. Nessuno verrà mai a cercarci qua.
Piero si voltò verso la finestra della baita. Fuori, il vento soffiava incessante, piegando le cime dei pochi alberi che crescevano sul terreno brullo. Le pendici dei monti salivano verso l'alto, il cielo se ne stava rintanato nelle rare crepe tra un pinnacolo e l'altro, nascosto dal loro grigiore. Nella valletta, quel rifugio montano era l'unica abitazione umana del circondario.
– A me non piace qua – biascicò Piero. – Non c'è nemmeno la televisione. Riportatemi indietro.
Gli altri non gli diedero retta. Anselmo era troppo preso da quel che aveva appena combinato e dall'ilarità conseguente. Ernesto non lo aveva nemmeno sentito. Quanto a Gioacchino, se non si fosse concentrato al massimo sul suo prossimo respiro rischiava di non farlo, quindi non aveva tempo né energie da sprecare per un brontolone.
– Mi hanno creduto – raccontò Anselmo, mezzo ridendo. – Uuuhhh, sì, sono ancora un gran volpone, un mattacchione come un tempo. Che scherzi al telefono che facevo!
– Che ha detto? – urlò Ernesto.
– A me non hai mai fatto ridere – brontolò Piero, ma solo perché più di una volta, all'epoca, si era ritrovato all'altro capo della cornetta.
A Gioacchino invece, che se li ricordava bene gli scherzi di Anselmo, scappò da ridere, ma finì col tossire a più non posso. Ernesto gli batté qualche colpetto sulla schiena, complicando ulteriormente la situazione. Solo quando Gioacchino riuscì a tirare un po' il fiato e rimettersi la mascherina dell'ossigeno, collegata da un tubo a un macchinario ronzante e alla bombola, Anselmo poté riprendere a raccontare.
– È per questo che sono andato di là per telefonare, lo capite? Se voialtri vi mettevate a ridere, a far battutine o a tossire... scusa Gioacchino, ma a te ti riconoscono subito... era finita, non mi credeva più nessuno – Anselmo scosse la testa con una smorfia che cancellò solo per un istante il suo sorriso. Ridacchiò di nuovo. – Aaaaah, dovevate sentirli com'erano seri! "Sì, signore, e dove li ha visti? Quando li ha visti? Com'erano vestiti?" Gli ho descritto tutti quanti noi per filo e per segno, e così si sono convinti. Che goduria far segnalazioni anonime! E così i parenti sono sistemati, e noi possiamo stare tranquilli. Allora, che vogliamo fare? – chiese Anselmo, artigliando i braccioli con le dita nodose.
– Voglio guardare la televisione! – sbraitò Piero, abbastanza forte da farsi sentire da Ernesto.
– Non c'è la televisione, sei sordo? – gli gridò quest'ultimo di rimando. – Te l'ho già detto!
Gioacchino si limitò a volgere gli occhi da un lato e dall'altro. Solo dopo qualche faticoso respiro si tolse la maschera per rantolare: – Non volevo... disturbare...
– Ma stai scherzando? – Anselmo si interruppe per fare forza con le braccia e tirarsi su in piedi. – Mica ti si poteva lasciare in quel brutto posto a morire da solo! No, gli amici devono stare assieme, fin che si può. E noi è da troppo tempo che non facevamo una bella rimpatriata, di quelle che facevamo una volta. Ve le ricordate?
– Che ha detto? – urlò per la terza volta Ernesto, rivolgendosi a Piero.
Invece di ripetergli il tutto gridando, Piero roteò gli occhi e bofonchiò: – Bella rimpatriata! Il rincitrullito, il sordo, e il Gioacchino con l'enfisema... e nessuno che ci ha una televisione!
– Io ho portato le carte! – annunciò Anselmo, a voce abbastanza alta che anche Ernesto lo sentì e annuì con approvazione. – Una bella partita a briscola? Canasta? – Anselmo si voltò a far l'occhiolino mentre domandava ancora: – ...scopa?
Si lasciò alle spalle le risatine e la tossetta degli altri tre matusalemme, e mentre si avviava a recuperare le carte lasciate sulla credenza, Anselmo si mise a canticchiare: – Eravamo quattro amici al bar...
Non arrivò alla seconda strofa.
Non ci arrivò perché la porta del loro rifugio montano inaspettatamente si aprì, e non fu per colpa del vento, che pure soffiava incessante spazzando la piana brulla e sospingendo polvere e foglie secche oltre la soglia. No, era stata una donna, che parlava fitto fitto al cellulare, voltata all'indietro per controllare un paio di marmocchi scalmanati.
– Sì, lo so che avete ricevuto una segnalazione – stava dicendo la donna. – Sì, va bene, sarà anche più credibile delle altre... Il cantiere di via...? Ah, sì, ma non potete mandare qualcuno a cercarli? No, non sono a casa. No, un attimo... Luigino! Lascia in pace tuo fratello! Non mi fare arrabbiare... guarda che adesso arriva papà, eh? No, mi scusi, sa, i bambini... sono un po' agitati, sono preoccupati per il nonno, tutto solo... E che c'entra che sono in quattro, sono comunque quattro anziani in giro tutti soli, no? Trovateli, è il vostro lavoro... ora devo proprio andare, grazie, arrivederci, grazie, sì.
La donna sospirò e chiuse la chiamata. Dentro la baita, i quattro anziani in questione, rimasti zitti e immobili, si guardarono l'un l'altro, poi frugarono freneticamente la stanza con gli occhi, in cerca di un posto dove nascondersi. Dentro l'armadio, dietro la porta, sotto il tavolo, oltre le tende, tra i cuscini imbottiti del divano, nei cassetti della credenza, in mezzo ai fiori finti nel vaso grande... non c'era un posto abbastanza vicino dove tuffarsi e sparire prima che la donna si voltasse.
Dalla soglia, la voce acuta e lamentosa di un pargolo, forse Luigino o forse l'altro, si giustificò: – Ma mamma... ha cominciato lui!
– State zitti! – brontolò la donna. – Ah, ci mancava anche questa, che papà prendesse e se ne andasse in giro... no, bambini, il nonno non lo hanno ancora trovato – replicò la donna alle grida insistenti "nonno, nonno!" dei marmocchi che già lo avevano intravisto oltre la soglia, bloccato come un daino di notte di fronte ai fari di un'auto. – Ma figuriamoci se mi faccio rovinare le vacanze, le ferie le avevo già prese, non le posso mica rimandare per i colpi di testa di quel vecchio rimbambito...
La donna si voltò e finalmente cadde il silenzio. Rotto solo da un respiro più rantolante del solito di Gioacchino, seguito da un singolo colpo di tosse, e da Ernesto che si mise a berciare: – Non ho capito... che ha detto?

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