giovedì 26 maggio 2022

Il dono del fuoco


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Gantas Vaičiulėnas da Pexels


Fa caldo. Tanto caldo, e nell'aria c'è puzza di fumo. Qualcuno mi guarda all'alto, una donna, lunghi capelli neri, all'inizio non la riconosco ma poi connetto. È Rheia, e il suo cipiglio preoccupato si spiana in un sorriso tirato mentre batto le palpebre per schiarirmi la vista e mugolo.
– Ben svegliato – fa la sua voce melodiosa, poi il volto si allontana, lei si mette in piedi e mi tende la mano. – Meno male. Non avevo voglia di trascinare il tuo bel culo per tutto il bosco.
La testa mi pulsa in modo doloroso, e mentre afferro la sua mano e mi alzo, reprimendo un conato di vomito e un senso di vertigine, le chiedo: – Che cosa è successo?
Mi tocco la tempia, umido, un rivolo di sangue.
– Vuoi proprio saperlo qui e ora? – La sua voce ha un tono divertito. Alle sue sue spalle, oltre le prime file di alberi intatti, una sinistra luce rossastra ha invaso il bosco, accompagnata da forti crepitii e schiocchi di legno che si spezza. Piove cenere.
A lei sembra non importare. Quasi come non fosse lì. Ma io tossisco, e mi porto la manica della felpa davanti alla bocca.
– Ce la fai a camminare? – Alla sua domanda, annuisco. – Allora andiamo.
Mi prende per un braccio e cominciamo a correre, lei procede sicura scartando di lato quando coglie con la coda dell'occhio che l'incendio si è fatto più spavaldo e tenta di chiuderci la strada. È bizzarro, ma mentre corro, mezzo tossendo nell'aria dal calore infernale e mezzo incespicando su quelle dannate radici, che possano bruciare, mi coglie il pensiero che la cosa, l'incendio, sembra avere una mente propria. Come allunga le sue dita sulla nostra strada, costringendoci a tornare sui nostri passi e cercare un'altra via. Come ci chiude in una morsa sempre più stretta, gettandoci addosso, negli occhi e nelle narici, nubi di fumo nero. Come fa crollare rami in fiamme giusto dov'eravamo appena un attimo prima.
Sì, la cosa ha una mente sua, una mente maligna, che sta cercando di ucciderci.
Inciampo in una zolla sollevata e crollo a terra. Rheia si ferma e cerca di rimettermi in piedi, ma io rotolo sulla schiena, tossisco e respiro in affanno.
– Non ce la faccio – mormoro. Fa troppo caldo, rivoli di sudore appiccicoso si sono uniti al sangue sulla fronte, e i vestiti mi si sono incollati addosso. L'aria è rovente. Per quanto ne so, forse sto già bruciando da dentro. – Vattene, lasciami qui, non ce la faccio.
– Idiota – brontola Rheia, tende entrambe le braccia, mi afferra per le spalle. È sopra di me, la vedo in controluce tra le fiamme. E poi accade.
Inizia tutto con un cigolio sordo. Lo segue uno schianto, e vedo le fiamme precipitare rapide, non posso fare niente, è un ramo intero, uno di quelli grossi, ed è completamente ricoperto dal fuoco. Si abbatte su Rheia e penso "è finita", lo penso quasi con sollievo, ma lei non cade su di me, resiste, mi protegge. Urla di dolore, i vestiti prendono fuoco, i suoi capelli prendono fuoco, attorno a noi piovono briciole di fiamme, le foglie, le foglie del ramo che si consumano a terra, in cerca di altro legno da offrire in sacrificio all'incendio.
Il crepitio delle fiamme è ovunque, attorno a noi. Rheia smette di urlare.
Il suo volto è una maschera surreale in mezzo a quell'inferno. Respira veloce, gli occhi socchiusi come se provasse... piacere, e sulle labbra un sorriso che si allarga sempre di più. Qualcosa si muove dietro la sua schiena, qualcosa tra lei e il ramo in fiamme, e di colpo si spalanca in un paio d'ali cremisi come il cuore dell'incendio, ali da pipistrello, ali da demone.
Sono scioccato. Forse è la ferita alla testa, mi dico, forse è tutto il fumo che ho respirato, sto delirando.
Ma lei mi protegge, con quelle ali, dal calore asfissiante e dalla pioggia di foglie di fuoco. Raddrizza la schiena e spinge indietro il ramo, che cade a terra tra gli arbusti già in fiamme.
Non ci mette niente a tirarmi su con una mano sola.
– Andiamo. Ti porto fuori da qui – mi dice, con un breve sguardo verso l'alto.
Intuisco quello che intende dire, ma io non posso crederci, è tutto così insensato. Poi il suo sguardo si focalizza su qualcosa alle mie spalle, e Rheia urla: – No!
Sento una botta alla nuca, la testa pulsa ancora più forte, e infine precipito nel buio.

– Sta' ferma... hai proprio combinato un disastro, qua dietro.
Una voce di donna. Non la conosco. E neanche quella che le risponde, parlando in tono autoritario.
– Hamar, com'è la situazione?
– La pelle della schiena è andata. Anche con il mio aiuto, ci vorranno mesi prima che torni presentabile.
La mia testa martella forte, è come un dopo sbornia, e le voci non fanno che peggiorare la situazione. Non vedo nulla, ma sento le mani e i piedi legati. Sono sdraiato, probabilmente in un letto, non lo so. Nella gola un colpo di tosse, ma lo trattengo, non voglio che sappiano che sono sveglio.
La mia prima ipotesi è che qualcuno ci abbia rapiti, poi sento la voce di Rheia che discorre tranquilla con le altre.
– Se mi mettessi un mantello?
– Non sfidiamo la sorte – replica la voce autoritaria. Anche quella è una voce femminile, ma non ho mai sentito alcuna donna con un tono così adatto al comando. – La nostra situazione qui è già abbastanza precaria senza che i nativi del pianeta se ne vadano in giro a blaterare di aver visto un mostro. Juste?
Un'altra voce si unisce alla conversazione. Anche questa, una donna. – Ho neutralizzato la minaccia. Una forma di vita metallica, mai vista prima. Non so da dove venga, ma di certo non era amichevole. Kindra, Cometh e Heru hanno aiutato a contenere l'incendio, e i locali lo hanno spento. Non ci ha visto nessuno, e la zona è comunque soggetta a incendi, anche quando Rheia non esagera con il suo dono. Nulla di anomalo, e in un paio di giorni l'incidente sarà dimenticato. – Il tono è sbrigativo, professionale, monocorde. Mi ricorda un colonnello che faccia rapporto al suo generale. – Resta soltanto lui.
C'è un istante di silenzio. Al termine, la voce autoritaria sentenzia: – Se ne occuperà Vyoll.
– No! – sbotta subito Rheia. Chiunque sia quel "Vyoll" e qualunque cosa intendono con "se ne occuperà", sono felice che ci sia lei a perorare la mia causa.
– Deve dimenticarti, non c'è altra soluzione. Totalmente. Se ricorda anche solo un frammento, potrebbe arrivare a recuperare il resto.
– Non puoi farmi questo. – La voce di Rheia è rabbiosa. – Non lo faresti al tuo poliziotto.
– È un agente governativo, e lui ci serve. Questo signor nessuno, no.
– Serve a me! Lui... sai che cos'è per me, vero? Lo sai!
La donna autoritaria, che evidentemente tra quelle signore è il capo, sospira e si rivolge a un'altra di loro. – Kindra, puoi guardare in avanti e assicurarmi che non ci metterà in pericolo?
Ancora silenzio, per qualche istante. Infine una voce melodiosa e gentile, quasi eterea, mormora: – Io... non ne sono sicura. La visione non è chiara.
Di nuovo silenzio. Non resisto, e il colpo di tosse che trattenevo mi sfugge dalle labbra, seguito da numerosi altri. Alla fine biascico, con voce roca: – Se posso dire la mia, signore... ci terrei a restare in vita.
Un momento di concitazione. Sedie che si spostano, tacchi di scarpe, o quelli che mi sembrano tali, che battono sul pavimento. – Rheia! La tua mente è assieme alla sua?
– Non ne avevo idea Christel... credimi, non lo sapevo! – Rheia. La sua voce solitamente divertita è incrinata dal panico. E la fonte di quel panico sono io. Perché ha paura, che cosa posso fare io contro una donna che può sopravvivere al fuoco?
Ricordo le sue ali. Mi umetto le labbra. – Non lo dirò a nessuno.
– È sincero – la voce di Rheia è quasi un sospiro di sollievo. – Ascoltatelo... dice la verità.
– Per ora, non intende farlo – replica ancora la voce autoritaria, una fiacca, ultima resistenza. – Ma in futuro potrebbe cambiare idea. È umano. Facilmente spaventabile da ciò che non conosce.
– Allora mi conoscerà – sentenzia Rheia. – Me ne occuperò io.
Tutte le voci tacciono, sento che si allontanano, ma è un'impressione, più che un suono. Una mano mi toglie la benda dagli occhi, e lì accanto al letto c'è lei, Rheia, capelli neri molto più corti, occhi rossi dalla pupilla verticale, e ali cremisi come un mantello dietro la schiena.
Mi aiuta a sedermi, e a bere un sorso d'acqua, che scivola fresco nella mia gola secca.
– Stai bene così – biascico non appena riesco a parlare. Lei sorride.
– Mi chiamo Rheia Shan'Marieth – Rheia si mette seduta accanto a me, e comincia a raccontare. – Un tempo, nel posto che chiamo casa, ero una sacerdotessa del tempio del sacro Fuoco, e il fuoco è il mio dono.
Chissà perché, non ne sono sorpreso. Sto per chiederle da dove viene, ma lei mi precede.
– Si chiama Earanphies. È un altro mondo, molto lontano, attorno a una stella diversa.

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