lunedì 30 maggio 2022

Spirale di ghiaccio


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Frank Cone da Pexels


Era una meraviglia della natura quella galleria spiraliforme tra gelidi muri azzurri, una formazione naturale nel ghiaccio non scavata dalle mani degli uomini né dal lavorio di alcuna bestia conosciuta. Ne eravamo certi, poiché nessuno strumento avrebbe potuto produrre pareti così perfette, senza tracce di solchi né di fusione da calore.
Per accedervi avevamo dovuto rompere il ghiaccio nel punto in cui la galleria iniziava, il punto più alto della spirale discendente diretta nelle profondità della crosta gelida che ricopriva, o almeno in parte costituiva, il territorio più a nord del continente. Anche quello era un indizio che nessun uomo o bestia aveva creato quello spazio cavo, perché se così fosse stato, vi sarebbe rimasto intrappolato all'interno.
Prima di ricevere tutta l'attrezzatura necessaria all'esplorazione, nonché i permessi a correre questo rischio dalla nostra Accademia del Sapere, avevamo chiesto informazioni su questo posto nei due villaggi di Chokeera e Chapokaa, ma il popolo del ghiaccio era stato piuttosto reticente in proposito. A loro dire nessuno si avventurava mai quassù, il posto era maledetto, era dimora delle ondine.
Superstiziosi e sciocchi uomini del nord. Non avevamo dato retta ai loro avvertimenti, quella gente vedeva ondine ovunque, ma mai nessuno era stato in grado di provare davvero la loro esistenza.
Io preferivo concentrarmi su problemi più concreti e immediati. Il fiato che si condensava in sbuffi di vapore mi ricordava quanto l'aria fosse gelida lì dentro, e quanto poco io e Làdine saremmo sopravvissute senza gli abiti termici e i filtri dei respiratori. Il percorso seguiva una curva appena percepibile all'inizio, in senso orario, con una pendenza minima, ma non avevamo alcuna idea di quanto sarebbe sceso in profondità né di quali ostacoli avremmo incontrato lungo la strada. Sotto i nostri passi scricchiolavano frammenti di ghiaccio, che probabilmente si erano staccati dalle stalattiti traslucide che pendevano sopra le nostre teste, le cui gocce andavano a ingrossare un ruscello che ci scorreva accanto, occupando metà della galleria.
La torcia di Làdine danzava da una parete all'altra, traendo bagliori adamantini dal ghiaccio. Ogni tanto la mia compagna di esplorazione prorompeva in un'esclamazione di gioia o di meraviglia. Io non condividevo il suo stupore, se non per quanto riguardava l'acqua del torrente, che se da un lato poteva spiegare l'esistenza di quel vuoto nel ghiaccio, dall'altro generava più domande di quante ne rispondeva. E la più importante di tutte non era come mai il torrente, invece di scavare una galleria dritta, ne avesse generata una che somigliava alla conchiglia di una chiocciola enorme, né cosa avremmo trovato una volta raggiunto il centro, nonché il punto più basso, del percorso. No, quello che mi tormentava, che mi inquietava, che mi terrorizzava, era un unico, impossibile dettaglio.
L'acqua scorreva in salita.
Lo feci notare a Làdine, sottovoce, poiché la galleria moltiplicava e spezzava ogni nostra parola in echi cristallini, e a differenza sua io preferivo non udire la mia voce distorta dalla grotta a spirale. Per me era già sufficiente che nonostante l'aria immota in cui si congelavano i nostri respiri di nebbia si udiva costantemente il soffio di un vento fantasma, sempre davanti a noi, sempre oltre la curvatura del nostro percorso.
– È un'illusione ottica – mi rassicurò Làdine, dopo un breve esame del torrente. – Non vorrai dare retta alle dicerie sulle strane proprietà dell'acqua di Varelya, vero? Qui l'acqua è esattamente come in qualsiasi altra parte del mondo, e non potrebbe essere altrimenti.
Concordai con lei, ma era difficile mantenere una mente lucida e scientifica tra quelle pareti azzurre dalle origini misteriose. Camminando dietro a Làdine, accompagnate dal gorgoglio del ruscello, dal cric cric del ghiaccio sotto i nostri stivali, da quell'onnipresente impossibile vento che mi ricordava sempre di più il rumore del mare che si ode dalle viscere delle grandi conchiglie a spirale accostandovi l'orecchio, mi sorpresi a rivolgere la mente a pensieri strani. Ricordai l'infausta spedizione alla ricerca dei preziosi cristalli azzurri qui a Varelya, molti anni fa. Ricordai come nessuno fosse uscito vivo da quella caverna, e come le Accademie del Sapere proibirono ulteriori tentativi di sfruttamento di quella risorsa sul suolo di Varelya. La motivazione ufficiale fu un mancato accordo con le autorità locali, ma in molti arrivarono a sostenere che i rettori delle Accademie fossero a conoscenza di una verità che preferivano non divulgare. Quel pensiero era tanto assurdo quanto l'idea che quell'enorme conchiglia di ghiaccio fosse abitata da una creatura sconosciuta, proporzionata in dimensioni alla sua dimora. Le Accademie del Sapere erano state create per diffondere la conoscenza, non per nasconderla!
Mentre riflettevo su questi pensieri, ipnotizzata dalla luce di Làdine e dai mille riflessi scintillanti nel ghiaccio, ormai intirizzita nonostante gli abiti termici che avrebbero dovuto impedirmi di provare freddo, non mi accorsi che il suono del vento era cessato, né che Làdine si era fermata.
Andai a sbatterle contro, e lei mi rimproverò con stizza. La galleria ormai era così stretta che potevo toccare entrambe le pareti ai miei fianchi allargando le braccia, e non era raro doversi abbassare per evitare le stalattiti di ghiaccio.
Il tunnel proseguiva ancora, ma un enorme ghiacciolo che pendeva dal soffitto bloccava la strada alla mia compagna di esplorazione, e più avanti il torrente occupava interamente il fondo della galleria.
– Non possiamo proseguire oltre – disse Làdine. – Torniamo indietro.
Ci voltammo, e non potendo scambiarci di posto per via del sentiero troppo stretto, toccò a me guidarla nella strada del ritorno. Làdine mi passò la torcia, e io m'incamminai di buona lena. Ormai non vedevo l'ora di tornare in superficie e riscaldarmi davanti a un fuoco.
Non avevamo fatto molta strada, che subito dovemmo fermarci di fronte a una sottile lastra di ghiaccio traslucido che chiudeva interamente la galleria.
– Ma che cosa...?
Non c'era stata prima, ed era impossibile che si fosse formata in così poco tempo o che noi avessimo sbagliato strada, dato che non avevamo incontrato alcun bivio. Tastai la lastra, che si rivelò solida, e non un'illusione ottica o un miraggio. Battei un pugno, ma non riuscii nemmeno a incrinarla.
– Rompighiaccio – mi suggerì Làdine, ricordandomi l'attrezzatura nei nostri zaini. – Dai, non ti perdere in un bicchiere d'acqua... fredda.
Lei aveva ancora la presenza di spirito per fare battute, ma io no. Era tutto così assurdo, impossibile, e mentre rovistavo nello zaino alla ricerca del rompighiaccio, mi parve di scorgere oltre la lastra azzurrina la sagoma di una figura umana. Chiamai, invocando aiuto, ma quella non rispose, e mi parve svanire nell'aria, non allontanarsi, proprio... sciogliersi.
Forse il popolo del ghiaccio aveva ragione. Forse questo posto era davvero maledetto, forse le ondine esistevano davvero, forse avremmo fatto la fine dei nostri colleghi di quell'altra famosa esplorazione, non saremmo mai tornate a casa, e tutto perché avevamo invaso la dimora di quelle creature.
Ero sempre stata una persona razionale, ma quel giorno scoprii che per evitare un tale fato avrei fatto di tutto, anche diventare superstiziosa e supplicare una leggenda di lasciarci andare.

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