giovedì 19 maggio 2022

La voce


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Foto di Chia Jung Chang da Pexels


Puoi sentirmi?
Mi voltai indietro, a guardare la mia famiglia o quel che ne rimaneva, sebbene ormai sapessi che la voce non veniva da nessuno di loro. C'era mio cognato su un ronzino grigio, con suo figlio accanto a lui a cavallo di un baio. La mia sorella più piccola, quindici anni appena, che ormai si era immedesimata nel suo ruolo di amazzone e sedeva in sella fiera, cercando di trattenere la smorfia di dolore per quella caduta a inizio viaggio ogni volta che la guardavo. E la vecchia Ma', la suocera di mio fratello, che teneva davanti a sé sul mulo un frugoletto di quattro anni dagli occhi azzurri, così piccolo e già orfano di entrambi i genitori. Mi seguivano tutti, anche se non sapevano dove stessi andando, e a dire il vero, nemmeno io lo sapevo.
Con un colpetto sui fianchi spronai Qele, la giumenta dal manto Isabella che era stata l'orgoglio delle mie scuderie, a precedere di qualche metro gli altri lungo il sentiero sterrato che stavamo percorrendo.
– Sì, ti sento – bisbigliai, certa che alle orecchie degli altri la mia voce sarebbe stata coperta dai colpi ritmici degli zoccoli. – Dove sei?
Vieni, fu la sola risposta. Sospirai.
– Chi sei? – chiesi, e restai in attesa. Nulla. Come sempre. – Ti avverto, se non avrò da te delle risposte, smetterò di fare quello che mi dici.
Ancora una volta la voce eluse le mie domande. Forse non era in grado di sentire me, o forse, era consapevole che il mio era soltanto un bluff. Avrei continuato a seguirla, a percorrere le strade che mi indicava, perché non avevo altro. Finora ci aveva sempre guidato in luoghi sicuri, dove avevamo trovato cibo e un riparo per la notte.
Avevo iniziato a sentirla il giorno in cui il mondo era precipitato nel caos. Se le avessi dato retta subito, forse avrei potuto salvare molta più gente. Ma non avevo creduto a quello che allora mi sembrava soltanto un pensiero folle.
Sella i cavalli, prendi l'indispensabile e vattene. Porta tutti quelli che ami se vuoi, ma vattene da lì.
Più tardi avevo interpretato quell'idea irragionevole come un mio istinto, e avevo ceduto all'urgenza di quelle parole, maledicendomi, quando ormai tutto stava già precipitando.
La campagna era così calma. I fischi e i canti degli uccelli, la brezza tra gli alberi, il lento dondolio di Qele che si muoveva al passo e il suo odore così familiare mi davano l'illusione di essere uscita solo per una passeggiata. Poi però mio cognato mi raggiunse, e il suo fucile a tracolla mi rammentò la nostra situazione precaria.
– Dovremmo fermarci – disse, e accennò indietro. – Ma' è stanca, e i cavalli hanno bisogno di mangiare. E anch'io non direi di no a uno spuntino.
Mi guardai attorno, mentre in silenzio interrogavo la voce.
Non fermarti. Ci sei quasi.
– Siamo troppo allo scoperto, non mi sento al sicuro qui – replicai all'uomo che cavalcava al mio fianco. Dovevo far apparire logiche le mie decisioni: se avessero saputo su che basi le prendevo non mi avrebbero seguito con tanta fiducia. Era molto probabile anzi che proprio mio cognato e suo figlio, così dipendenti dal mio giudizio, mi avrebbero dichiarato pazza e avrebbero iniziato a dettar legge e a comandare a bacchetta tutti gli altri. – Proseguiamo un altro po'. Dovremmo trovare un riparo più avanti.
Odiavo essere così vaga, ma non avevo altro modo di dare informazioni che io stessa non possedevo. Avevamo ormai superato da un pezzo le strade che conoscevo e che avevo percorso così tante volte a cavallo, in un altro tempo. Non era passato molto, ma sembrava una vita intera.
Presto. Vieni da me, presto. Puoi sentirmi, vero?
Non sapevo quello che avrei trovato alla fine della mia strada. Un amico, una trappola, o il nulla. Ma non avevo altra scelta, davvero non ce l'avevo, tornare indietro, in città, era la morte. Sbagliare strada e infilarsi in un vicolo cieco poteva condurre allo stesso risultato. Finora quella voce non mi aveva tradito, e potevo solo confidare che non iniziasse a farlo proprio al momento di rivelare la sua natura.
Qele nitrì e scosse il muso, solleticando con la criniera le mie mani sulle briglie. I suoi zoccoli non battevano più il ritmo sulla terra dura, ma affondavano in un terreno umido. Tirai le briglie per farla fermare.
Attorno a noi la campagna si era coperta di alti alberi, i cui tronchi si facevano sagome grigie nella nebbia in lontananza. Il sentiero si inerpicava verso l'alto in una scalinata di terra e legno consumata dal tempo. Scesi da cavallo e affidai le briglie di Qele a mia sorella.
Vieni. Vieni, vieni, vieni!
La voce aveva un'urgenza tanto fastidiosa che mi sembrava di sentire uno sciame di formiche mordermi le gambe. Mi trattenni quel tanto che bastava per guardare gli altri.
– Riposatevi. Io vado a vedere cosa c'è più avanti.
Le mie parole strapparono un gemito acuto a mia sorella. Non ci eravamo più separate da quando eravamo sfuggite assieme all'apocalisse, nemmeno per esplorare i casolari isolati ai quali la voce mi aveva condotto. Ma stavolta dovevo andare da sola.
Mio cognato mi tese il fucile, ma io scossi la testa.
– Tienilo. Proteggi gli altri. E se si avvicina qualcosa che non sono io, spara.
Li guardai tutti, ancora una volta, a uno a uno. Mio cognato, e il giovanotto che assomigliava molto più a mia sorella maggiore che a lui. La mia sorellina che nascondeva così bene la paura a tutti, tranne che a me. Ma', un pilastro di saggezza e conforto, e i grandi occhi azzurri di mio nipote, spalancati su un mondo che non era più quello che io avevo conosciuto alla sua età.
Sperai ardentemente che quello non fosse un addio.
Poi mi voltai e cedetti all'urgenza della voce, perché non potevo farci niente, perché sarei andata anche fino alla fine del mondo se quella sirena me lo avesse comandato.

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