lunedì 15 agosto 2022

La guerra delle stagioni


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Foto di Oleja Titoff da Pexels


Le stagioni erano in subbuglio. Eco non poteva capire le conseguenze del suo sventurato tradimento, ma io sì. I reggenti Glacies che avevamo scelto di supportare in assenza dei legittimi sovrani avevano congelato ogni conflitto, raffreddato gli animi, portato nel mondo degli esseri umani, che tanto ne avevano bisogno, un po' di pace.
Inverni più rigidi ed estati meno calde erano stati effetti collaterali sopportabili. Non mi ero mai pentito della mia scelta, io che ero in grado di vedere. Nel mezzo della mia maledizione, le visioni nello specchio in cui ero intrappolato si erano rivelate un dono. Specialmente nel momento di crisi in cui i legittimi sovrani, i Divini, erano svaniti dalla Chiave di Volta, dai loro troni, senza lasciare traccia. Ma quella era storia passata, e ormai disperavo di vedere il loro ritorno. Per quanto lo avessi interrogato guardando indietro, nelle profondità misteriose dei suoi recessi che non osavo esplorare, lo specchio non me lo aveva mai mostrato.
Eco non aveva il mio dono, e questa era la sua unica scusante. La sua testolina di vento era beatamente inconsapevole di ciò che stava accadendo nel mondo degli esseri umani, e di quello che sarebbe accaduto nel nostro. Da quando gli Ardentes avevano preso i troni con la forza, scacciando con il loro calore i reggenti Glacies che si scioglievano al loro cospetto, nulla era più stato lo stesso. Gli animi si scaldavano, gli esseri umani reagivano e lottavano scatenati dalla più piccola scusa. L'estate era più calda che mai, le messi si seccavano nei campi, gli inverni non portavano refrigerio.
Non potevo fare a meno di pensare al mio riflesso, la mia amata, intrappolata in un simile mondo. Ma non credo che sarebbe stata più felice, se fosse rimasta con i Floràe.
Io lo vedevo. Vedevo perfino quel pacifico popolo, i figli della bellezza creati solo per essere ammirati, imbracciare le armi e muovere guerra al fulcro del nostro mondo, la Chiave di Volta, e agli usurpatori che l'avevano occupata. Riuscivo a immaginare i selvatici Faunòe, rimasti indifferenti fino a quel momento a chi li comandava, concentrati soltanto su loro stessi, snudare zanne e artigli per difendere la propria casa dalle fiamme degli Ardentes. Ma faticavo a figurarmi l'ombra della guerra sui luminosi prati della primavera.
La regina Rosa che affilava le sue spine. Il dolce Giglio che usava il suo polline e il suo profumo per stordire. Il grazioso Convolvolo che imparava dall'Edera ribelle a strangolare. E Belladonna con il suo veleno a condurre tutti gli altri, perché lei sapeva quanto è facile uccidere.
Non erano stati creati per la battaglia, i miei compagni Floràe, eppure non si sarebbero tirati indietro. Anche se non potevano vincere. E i petali del Ciliegio e del Mandorlo sarebbero stati spazzati via dai rami a ogni folata di vento rovente, bruciati nell'aria prima ancora di toccare terra.
Le lacrime scesero copiose sul mio volto, mentre Eco rideva, apparendo e sparendo attorno a me, deliziata come se avesse fatto uno scherzo.
Gran bello scherzo aveva tirato a entrambi i mondi.
– No, non hai davvero idea di quello che hai fatto, Eco – mormorai in tono solenne, e la sua risata mi parve allora la musica più triste che potessi udire.

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