lunedì 8 agosto 2022

Sputare fuoco


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di David Henry da Pexels


– Il mio bisnonno sapeva sputare fuoco per davvero.
Lo dissi senza pensarci, stordito dai bip bip e dalle musichette elettroniche che provenivano dappertutto attorno a me, mischiandosi in una cacofonia confusa, mentre il personaggio sullo schermo che avevo di fronte saltava e sparava palle di fuoco dalla bocca al comando del mio joystick e del mio palmo che batteva furiosamente sui pulsanti. Accanto a me un ragazzino più grande, circondato da un seguito di ammiratori che io cercavo inutilmente di impressionare, stava facendo la stessa cosa.
– Sì, come no. E mia nonna era una carriola – ribatté il ragazzino, e gli altri giù a ridere.
Mi arrabbiai e mi misi a manovrare il joystick con rinnovata furia, ma non gli dissi che la sua era una palese bugia, mentre io avevo detto la verità. Non avrebbe mai creduto a quella che per me era una cosa ovvia, che nella mia famiglia scorreva sangue di drago. Non avrebbe mai creduto nemmeno al fatto che probabilmente eravamo coetanei, anche se io sembravo un po' più piccolo. I ragazzini come lui mi sottovalutavano sempre, per quello.
Non era la prima volta che i miei genitori mi parcheggiavano in una sala giochi mentre loro erano fuori a fare il loro spettacolo. Numeri con il fuoco, ovviamente: anche se il sangue di drago si era annacquato generazione dopo generazione, e già mio nonno non era più in grado di emettere fuoco dalla bocca, potevamo ancora controllare e plasmare il fuoco di una torcia, ad esempio, o di un accendino come quello che tenevo sempre nella tasca dei pantaloni.
I primi anni stavo fuori con loro. Mi piaceva guardare mio padre che soffiava quei getti di fiamma. Nessuno sapeva che non usava i trucchi degli altri mangiafuoco, nessun liquido infiammabile tenuto in bocca o altri mezzucci tipicamente umani. La sua era pura e semplice magia del fuoco. Vera magia.
Ma erano passati i tempi della superstizione e nessuno ci avrebbe mai creduto. Perciò, quando fui più grande e cercai di unirmi allo spettacolo durante una serata particolarmente movimentata, mia madre, che era soltanto umana anche se fin dall'inizio conosceva il nostro segreto, decise che era troppo pericoloso per me assistere agli spettacoli, che rischiavo di esagerare e fare qualcosa che non sarebbe mai apparso naturale e spiegabile agli occhi degli spettatori, e da quel giorno iniziarono a darmi qualche moneta e a parcheggiarmi nelle sale giochi. Poco male: lì inscenavo il mio spettacolo personale e guadagnavo qualche spicciolo per la famiglia anch'io.
L'ho già detto che sembravo più giovane e che gli altri ragazzini mi sottovalutavano? Merito di quella goccia di sangue di drago che era arrivata generazione dopo generazione fino a me. Era facile apparire come un moccioso inesperto, allettarli con le monete che mi rimanevano, e indurli a puntare le loro. Vita dopo vita, quei bulletti che si credevano tanto furbi perdevano sempre. Probabilmente anche i miei riflessi più rapidi mi venivano da quella goccia di sangue di drago, ma se lo avessero saputo, mi avrebbero accusato di aver imbrogliato.
Non tutti sapevano perdere. Come il ragazzino con la nonna-carriola.
Quando il suo minuscolo saltatore sputafuoco cadde lungo tutto lo schermo, e nel suo angolo in alto lampeggiarono le zero vite e la richiesta insistente della macchinetta di inserire un'altra moneta, il mio ancora proseguiva baldanzoso su e giù per le piattaforme di quel paesaggio elettronico abbattendo nemici a destra e a manca. Gli rivolsi un'occhiata sprezzante e allungai una mano verso il suo mucchietto di monete incolonnate, ma lui fu più svelto di me a intascarle.
– Ehi! – sbottai. – Una scommessa è una scommessa!
Ecco, quello era uno dei momenti in cui odiavo la mia voce acuta da pulcino e la mia bassa statura, che impedivano agli altri ragazzi di vedere la mia vera età e di prendermi sul serio.
Il ragazzino mi sputò addosso, e disse: – Io non faccio scommesse con i bambini. Buu-huu, vai a piangere dalla mamma!
Lo disse in un tono lamentoso, e scimmiottò anche il gesto di asciugarsi gli occhi con le mani a pugno, il tutto per far ridere la sua combriccola di ammiratori. Fino a un attimo prima, però, era stato ben disposto a prendersi le monete di un bambino, se avesse vinto la scommessa.
Mentre ancora ridevano, mi pulii la sua saliva dal viso. Ero furioso. Sbirciai nei dintorni, ma tra i bip elettronici dei videogiochi e i flash delle immagini sugli schermi non vidi né sentii alcun adulto che potesse intervenire a fermarmi.
Io non sapevo sputare fuoco come mio bisnonno, ma avevo un accendino nella tasca dei pantaloni e la magia del fuoco che pulsava forte nelle mie vene e chiedeva a gran voce di essere liberata.

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