giovedì 18 agosto 2022

La storia della madre


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Foto di Flora Westbrook da Pexels


Nelle gelide e oscure notti d'inverno, quando il vento ululava attorno alla nostra casa e l'odore di birra e idromele riempiva le nostre gole e le narici, a volte, solo a volte, era possibile cavargli fuori di bocca questa storia. Quando incominciava, ci raggomitolavamo tutti nelle pelli e nelle pellicce, stretti attorno al fuoco, e non dicevamo una parola, nemmeno una, zitti zitti dall'inizio alla fine per evitare di interromperlo e indispettirlo, che quello era pure capace di alzarsi e andarsene fuori a pisciare e poi sparire, così, senza nemmeno finire la storia.
Era una storia troppo bella per lasciarla a metà.
Nonno Brynjar era stato uno dei guerrieri che avevano partecipato alle scorribande del valoroso Eiríkrinn Rauda, e le storie che aveva da raccontare sul suo conto erano leggendarie, ma mai nessuna poteva superare quella dell'isola d'oro. Era avvenuta nell'anno migliore per il nostro villaggio, quando le navi stavano per tornare cariche di tesori e i nostri guerrieri colmi di gloria. Il vento era favorevole e i rematori non dovevano quasi toccare i remi negli scalmi, che si muovevano da soli: sembrava che gli Dei favorissero i nostri marinai nel loro viaggio di ritorno. Ma Freya, tra tutti, aveva in mente una sorpresa speciale per alcuni di loro, perché ecco apparire nella luce del tramonto un'isola sconosciuta, non segnata sulle mappe, e la sua terra, invece di essere di roccia grigia e di erba verde, riluceva di splendido oro.
Ci fu un certo trambusto al vederla, sulle navi: qualcuno, diffidente, giurava che un istante prima l'isola non c'era, ed era apparsa così, tra i flutti, per opera della stregoneria. Altri sostenevano che i nostri occhi, stanchi e fissi verso casa, erano stati ingannati dal riflesso del sole tra le onde, e che dunque non vi era alcuna isola da raggiungere. Altri ancora erano certi che l'isola fosse lì dove la vedevamo, e che ci fosse un lauto bottino ad attenderci, ma che se ci fossimo attardati troppo saremmo finiti intrappolati tra i ghiacci sulla rotta del ritorno.
Il valoroso Eiríkrinn Rauda, dopo aver ascoltato tutte queste voci, si consultò con i suoi uomini più fidati, e tutti convennero che l'isola d'oro valeva la pena di essere esplorata, e segnata sulle mappe per visitarla ancora la primavera successiva. Così fecero, e tirate le barche in secca sulla spiaggia, gli esploratori prescelti dallo stesso Eiríkrinn Rauda lo seguirono nell'entroterra. Tra costoro vi era anche Brynjar Haraldsson, che come dice, non potrà mai dimenticare il crepitio dell'erba d'oro sotto i suoi stivali, simile a quello delle fiamme in un braciere, e il bagliore che feriva gli occhi nel riverbero del tramonto, e il profumo inebriante che pareva proprio quello dell'idromele.
Giunsero a una casa solitaria, ai margini della foresta, e vennero accolti dalle donne che la abitavano. Non c'erano uomini, dissero, sull'isola, anche se alcune di loro erano madri, con le figlie in braccio o attaccate alla gonna.
Invitarono gli stranieri a entrare, offrirono loro un lauto banchetto e birra a volontà; ma una di loro, una fanciulla di nome Hlìf, si avvicinò a Brynjar e gli sussurrò di non mangiare né bere nulla, e altre di loro, come seppe in seguito Brynjar, avvertirono in uguale maniera i loro favoriti tra i guerrieri.
Nella notte, chi aveva bevuto e mangiato dormiva di un sonno profondo, e le donne vennero e li portarono via, sollevandoli come se fossero stati leggeri come fuscelli. Ma quando Hlìf venne, Brynjar era sveglio, e così gli altri che erano stati avvertiti. E così videro che la frutta del banchetto era marcia, e la carne putrefatta, e la birra acqua stagnante, in cui le streghe avevano versato le loro pozioni. Brynjar Haraldsson, Eiríkrinn Rauda, e tutti gli altri che erano svegli si batterono con le streghe quando vennero a prendere i loro compagni, e all'alba fuggirono, assieme alle fanciulle che li avevano avvertiti, mentre già l'isola d'oro stava svanendo nella bruma del mattino. Mentre correvano, l'erba d'oro si impigliò nei loro stivali, e le foglie dorate degli alberi rimasero incastrate nelle loro barbe e nei loro capelli, e quando presero il mare, o guerrieri scoprirono che l'erba e le foglie preziose che avevano portato con loro non svanivano con il resto dell'isola, e che l'oro era vero, non un'illusione o una stregoneria com'era stato il banchetto.
Tornavano a casa da uomini ricchi, ma il tesoro più prezioso per Brynjar Haraldsson fu la sua adorata moglie Hlìf, discendente della stessa Freya, o così si raccontava, mandata dalla Dea a convincere le fanciulle più innocenti dell'isola d'oro a porre fine ai malefici delle streghe con l'aiuto dei guerrieri prescelti.
Lei fu la madre della nostra stirpe, così forte, così saggia, e il suo nome sarà per sempre tramandato.

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