lunedì 26 settembre 2022

Acido Citrico


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Miguel Á. Padriñán da Pexels


Ogni mattina attendo con trepidazione il "ding" sonoro della campanella sopra la porta che annuncia l'arrivo del primo cliente della giornata. Mi fa sentire come un attore che entra in scena: si apra il sipario, si accendano le luci, musica maestro, silenzio in sala! Ed eccomi lì, dietro al bancone, a recitare la mia parte.
Il Capo aveva acquisito il locale un paio di anni prima e lo aveva rinominato "Area 51 Cafè" un po' perché aveva il senso dell'umorismo, e un po' perché era sua convinzione che la bugia più inattaccabile fosse una verità travestita da scherzo. Non ci erano rimasti abbastanza fondi da adeguare gli arredi interni al nuovo nome del locale, perciò avevamo mantenuto lo stile sobrio e industriale della gestione precedente, con colonne di metallo, tubi a vista sul soffitto e faretti allineati sopra al bancone e ai tavoli. La gente non sembrava far caso all'occasione mancata di un locale a tema, così come non faceva caso alle stranezze che ogni tanto ci capitava di dire o fare.
Faceva parte del fascino della nuova gestione, o almeno, io speravo che la pensassero così.
Avevamo iniziato in quattro. Io e Il Capo ci conoscevamo da prima perché venivamo dallo stesso posto, e mentre lei si occupava di tutte le scartoffie e della manutenzione e in generale di tutto ciò che si trova dietro le quinte di un'impresa del genere, io ero lo specialista dei panini e dei tramezzini con ripieni dagli accostamenti insoliti ma tuttavia commestibili. "Espresso" invece l'avevamo incontrata mentre eravamo alla ricerca di un posto dove aprire la nostra attività, e ci aveva letteralmente pregato di accoglierla a farne parte. Piccola, svelta, agile come un'equilibrista sul filo con tutti i vassoi con cui si destreggiava a navigare nel locale affollato senza mai far cadere una goccia o rompere una tazzina, Espresso era la nostra cameriera ai tavoli e doveva il suo nome, più che alla statura o al caffè che pareva ingurgitare a litri da quanto era nervosa e scattante, alla rapidità con cui appariva e spariva davanti agli occhi dei clienti per prendere o portare le ordinazioni. Paradossalmente, invece, anche se ne gradiva il prodotto, a Espresso non piaceva la macchinetta del caffè. Quando non ero nei paraggi per avviarla di persona, Espresso si cimentava malvolentieri nell'impresa, imprecando per tutto il tempo sottovoce nella sua lingua stridente, e al rumore di quello che definiva "aggeggio infernale" subito si tappava le orecchie.
L'ultimo membro del quartetto lo avevamo trovato tramite un annuncio e dopo numerosi provini: dovevamo essere sicuri di ingaggiare la persona giusta, e senza poter dire apertamente a quelli che si erano presentati che cosa cercavamo, era stato piuttosto arduo fare una scrematura. Doveva essere uno di noi, o in orario di chiusura, mentre pulivamo e rimettevamo tutto a posto, sarebbe stato un po' imbarazzante averci a che fare, per non dire rischioso. Il Barista era stato probabilmente l'unico candidato ideale a presentarsi ai colloqui. Da come maneggiava shaker e bottiglie era stato evidente fin da subito che sembrava avere più di due mani. Aveva anche vinto qualche competizione da dove veniva, ci aveva informato. E quando Il Capo gli aveva chiesto da dove esattamente veniva, lui aveva nominato il posto senza alcuna ritrosia. Non ho mai capito se avesse intuito prima di noi con chi aveva a che fare, o se semplicemente il Barista è un folle temerario che non ha affatto paura di essere scoperto. Anche oggi, tra la musica jazz diffusa dalle casse e il brusio dei clienti, avvolto nel profumo dei cappuccini che Espresso porta via dal bancone in un vassoio sopra la sua testa, il Barista chiacchiera con loro senza remore, accennando talvolta alle cose che ha fatto là da dove viene, o da quando ha iniziato a viaggiare un po' qui un po' lì fino a fermarsi in questo posto. Nulla di eclatante o troppo dettagliato, ma ogni volta al sentire la sua voce tonante o le sue risate mi tremano i polsi. Io non riuscirei mai a parlare così apertamente del mio passato, anzi, avevo appositamente inventato un passato fittizio da poter sfoggiare in caso qualcuno mi facesse delle domande, o mi coinvolgesse in una conversazione un po' meno stereotipata di quella che iniziava con: – Ma gli alieni li tenete nei sotterranei o dove?
Ah ah, grandi risate, e maledizione a quando Il Capo aveva scelto il nome "Area 51 Cafè" per il locale che gestivamo.
Ad ogni modo, nonostante le sue chiacchiere, il Barista risultava molto meno sospetto del nostro ultimo acquisto. Con l'aumentare dei clienti ci eravamo resi conto di non riuscire a stare dietro a tutto, e dato che Il Capo aborriva il contatto con il pubblico, avevamo dovuto cercare e assumere un assistente.
Acido Citrico, così lo avevamo soprannominato, era ancora in prova, ma già stava dando non pochi problemi alla nostra copertura. Fin dai colloqui il suo modo insolito di esprimersi ci aveva convinto che doveva per forza essere dei nostri, ma avevamo sperato che di fronte ai clienti Acido Citrico si adeguasse a un modo, come dire... meno formale di parlare. E invece, continuava a chiedere se volevano cinque grammi di saccarosio nel loro infuso di caffeina, se lo prendevano con il lattosio, se preferivano il loro monossido di diidrogeno con anidride carbonica o senza, e altre amenità del genere. I clienti lo guardavano strano, chiedevano di ripetere perché non avevano capito, o ridevano. Ridevano un po' meno quando Acido Citrico cercava di spruzzare qualche goccia di limone, frutto verso il quale aveva una vera e propria idolatria più che una predilezione, in qualunque cosa avessero ordinato, si trattasse di caffè, birre, frullati, liquori o perfino sulle brioche e sui panini che preparavo io.
Cercare di farlo smettere era del tutto inutile. Io ci avevo provato. Alla fine mi limitavo solo a evitare i danni cercando di far sparire ogni limone al suo arrivo dietro al bancone.
Oggi però, tra un toast da scaldare e una cioccolata da affidare ai solerti vassoi di Espresso, mi accorgo che Acido Citrico sta davvero esagerando. Non solo ha trovato i limoni che avevo nascosto, ma sta stordendo una cliente piuttosto confusa con la sua incomprensibile parlantina chimica. Allora lo prendo da parte e gli dico: – Smettila, Acido, o cominceranno a capire che siamo alieni!
Poveretto, è anche abbastanza simpatico il ragazzo, gioviale, socievole, e sentirsi dare dell'acido a causa di un soprannome pronunciato a metà lo ha destabilizzato, intuisco nel notare la sua espressione sbigottita. Poi però lui apre la bocca e chiede: – Come... siamo... alieni?
Ed è assolutamente, totalmente, inequivocabilmente sconcertato.
Solo a questo punto capisco che forse negli ultimi colloqui non siamo stati poi così scrupolosi. Fargli credere che la mia era una battuta è semplice, la parte più difficile sarà spiegare a Il Capo che inavvertitamente un paio di mesi fa abbiamo assunto come aiutante un autentico umano del pianeta Terra.

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