lunedì 5 settembre 2022

Kàli l'Urbana


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– Allora che fai domani? Vieni con me? – chiese Tasha, scrollando via dal piatto i microbot spazzini.
Era piuttosto tardi, ben oltre l'orario di chiusura, e Kàli poteva permettersi di rilassarsi e fare compagnia a Tasha dopo aver servito per tutta la notte pietanze dalla preparazione discutibile ai migliori esponenti dell'alta società di Neon Anghels.
– Sempre che tu non abbia un appuntamento con il tuo ragazzo – aggiunse Tasha, guardandola di sottecchi. Era il suo migliore amico, variante umana goblin, un genoma a poche basi azotate di distanza da quello elfico, motivo che aveva portato l'élite dalle orecchie a punta a definirli con scherno "elfi brutti" per le loro orecchie afflosciate, la testa pelata, uno o due denti appuntiti e sporgenti e un generale senso di imperfezione che guastava la fisionomia dei loro volti. Kàli però non li trovava brutti, non quanto gli elfi volevano dare a intendere, e preferiva di gran lunga frequentare i goblin, di carattere molto più simpatico e socievole di quelle bamboline di porcellana con un manico di scopa infilato nel fondoschiena.
– Non è il mio ragazzo – ribatté Kàli, incrociando le braccia. – È uno con cui sono uscita un paio di volte. Non sa nemmeno che sono un'acquatica. – Con una blusa dalle maniche lunghe e il colletto alto a nascondere le squame e le branchie, difficilmente si sarebbe potuto indovinare che Kàli era un'Aberrazione, una delle varianti umane più rare. Il suo portamento elegante e i tratti nobili di un volto che pareva uscito dalle foto dei secoli passati l'avevano resa molto popolare tra i clienti dell'esclusivo Falena di Pharos, uno dei due o tre ristoranti più in di Neon Anghels. C'erano clienti fissi che non cenavano se non era lei a servirli.
– Gli hai mentito? – Tasha la fissò a occhi sgranati, quindi scosse la testa, nell'aggiungere alla pila un altro piatto pulito. – Cattiva ragazza, gli hai fatto credere che sei un'Invariata?
Kàli si strinse nelle spalle. Era quello che pensavano, in genere, le persone che non la conoscevano: che appartenesse a una delle rarissime linee genetiche i cui esponenti non avevano manifestato alcuna mutazione nascosta, e che tuttavia erano sopravvissuti al Giorno delle Urla.
– Non gli ho mentito – replicò Kàli. – L'argomento non è mai stato sfiorato. Non è che sia obbligatorio dichiarare la propria variante umana, no?
Tasha ridacchiò. – Dì la verità, hai evitato accuratamente di dargli appuntamento nei giorni di pioggia, vero? Altrimenti avrebbe visto quanto sai essere fuori di testa quando sei bagnata...
Kàli si staccò dal banco cottura, gli si avvicinò e gli assestò un pugno sul braccio. – Smettila. Se non vuoi che ti affoghi nel prossimo stagno che vediamo.
Tasha non riuscì a smettere di ridere per un bel po', sorvegliato dalle occhiate bieche di Kàli mentre sistemava gli ultimi piatti. Alla fine si tolse il grembiule e si avviò con lei verso gli spogliatoi del personale. – Seriamente, però, ci vieni con me domani? Ci sono delle caverne a nord che nessuno ha più esplorato da decenni... forse addirittura da secoli!
Kàli alzò gli occhi al soffitto. Goblin e caverne, sembrava un'accoppiata inscindibile. Un po' come lei e l'acqua o gli elfi e i loro grattacieli a cinque stelle.
– Per te sarà come tornare alle origini, dai, in fondo, la tua famiglia non veniva da una Riserva? Anche se fatico a immaginarti tra le Aberrazioni Selvagge, guardati, tu sei il ritratto dell'urbanità. Sicura di non avere qualche gene di elfo?
Questa volta, Kàli rise assieme a lui. – Sì, ma era tante generazioni fa. La Riserva, non i geni di elfo, per la precisione. Se ben ricordo la mia bisnonna, forse, è stata l'ultima a vedere una Riserva. Non l'ho mai conosciuta. Si chiamava come me, a proposito.
Il tono della sua voce era sempre più mesto perciò, sulla soglia degli spogliatoi, prima di separarsi, Tasha pensò bene di rallegrarla lanciandole l'esca a cui lei avrebbe senza dubbio abboccato. – Ah, sai, quelle caverne a nord che voglio esplorare... te lo avevo detto che una parte delle gallerie è allagata?

***

Kàli riemerse solo con la sommità della testa e con gli occhi dal lago sotterraneo. Il gocciolio dalle stalattiti le giungeva attutito alle orecchie, tappate dall'eco liquido che le riempiva. Il panorama era incredibile.
La luce della dronosfera che li accompagnava rivelava formazioni calcaree di un rosa pallido che sembravano piccole cascate iridescenti bloccate nel tempo; faceva da contrasto il riflesso turchese dell'acqua increspata dai cerchi concentrici che si allargavano a intervalli costanti dai punti dello stillicidio.
Dietro di lei udì uno sguazzare sgraziato che turbò la pace e la meraviglia di quel luogo. Anche usando un filtro respiratore, Tasha si affrettò a riemergere per prendere una famelica boccata d'aria. – Più lungo... di quel che sembra – mugugnò abbassando la voce, intimorito dall'eco che rimbalzava sulla volta della caverna. Poi fece silenzio, succube anche lui del fascino di quel luogo.
Kàli si immerse e aggirò sott'acqua una formazione calcarea che nascondeva la riva di quella pozza sotterranea. Le era parso di vedere qualcosa, in fondo, come una nebbiolina, sebbene l'acqua non era certo così calda da emanare vapore. La intravide mentre fuggiva, pelle azzurrognola, arti magri, una silfide.
– Aspetta! – gridò Kàli, ma la silfide non le diede retta e fuggì nelle profondità della grotta.
Nel frattempo, sguazzando in acqua, Tasha era riuscito a raggiungere l'amica. – Che cos'hai visto?
– Una silfide – sapevano entrambi che era un'Aberrazione piuttosto rara. A Neon Anghels non ce n'erano, ma a Metronas, a sud, forse viveva una coppia. La maggior parte di loro però si trovava nelle Riserve. – Una bambina. Non può essere qui da sola. Sicuro che non ci sia una Riserva nella zona?
Era proibito avvicinarsi alle Riserve senza il permesso dei residenti. Gli Urbani che lo facevano, andavano in quel territorio proibito a loro rischio e pericolo.
– Sicurissimo. Nessuna Riserva. Ricordi? Grotta inesplorata, eccetera eccetera – ribatté Tasha. Si issò sulla piattaforma di roccia che sporgeva sopra la conca allagata, seguito a malincuore da Kàli.
– Allora dobbiamo trovarla. Forse è davvero da sola. Forse si è persa.
Vagarono per diverso tempo tra le gallerie labirintine della caverna, tracciando la strada per non perdersi con la funzione "orientamento" della dronosfera che illuminava i loro passi. Poi, nel riemergere da un corridoio di roccia particolarmente angusto, che li aveva costretti a camminare in fila per uno e di lato, qualcosa fracassò la dronosfera, precipitandoli nell'oscurità e nel terrore. Le punte di un paio di lance pizzicarono le loro gole, e voci profonde, distorte, ingiunsero loro di continuare a camminare.
– Salamandre – bisbigliò Kàli, udendo il passo sicuro dei due che li spronavano ad avanzare, indifferenti di fronte al loro incespicare e procedere a tentoni.
Dopo una serie di curve di un percorso tortuoso, la luce li abbagliò nuovamente, e quando riuscirono a vedere, Kàli e Tasha si trovarono di fronte a uno spettacolo allo stesso tempo magnifico e agghiacciante.
Un'intera città di torri di granito e palazzi ricavati da minerali scintillanti, finestre di quarzo, tetti di marmo e strade d'opale brulicanti di decine di Aberrazioni dalle forme più strane.
– Una Riserva illegale! – gemette Tasha. Se c'era qualcosa di più pericoloso che avvicinarsi a una Riserva, era avvicinarsi a una che non era nemmeno registrata e autorizzata.
Dalla strada che portava a un palazzo d'alabastro, si fece loro incontro un massiccio garuda, il passo autoritario, una toga candida a coprirlo, e ali con file di penne rosse, bianche e oro. Si fermò dinnanzi ai due intrusi e li fissò con occhi severi al di sopra del becco d'aquila, poi si rivolse all'acquatica.
– Le somigli moltissimo – disse, con un calore nella voce che era l'ultima cosa che acquatica e goblin si sarebbero aspettati. – Bentornata a casa, Kàli.

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