giovedì 29 settembre 2022

Due pistole all'ora del tè


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di cottonbro da Pexels


Agnes posò le tazzine ricolme di un nettare bollente sul tavolo a specchio con un tintinnio di ceramica che suonò come musica alle mie orecchie, poi si congedò e spinse il carrello portavivande verso l'ingresso, portando via con sé le bustine di tè ormai zuppe che avevo personalmente preparato per l'occasione. Prima di uscire e chiudere la porta, avviò con un tocco delle dita sottili l'impianto sonoro, che subito diffuse una musica d'ambiente dalla melodia lenta e rilassante. Era un tiepido meriggio d'inizio autunno, la giornata perfetta per prendere il tè sulla veranda, accanto alle grandi finestre che davano sul giardino.
I miei ospiti, diversamente da me, sembravano tesi, niente affatto dell'umore appropriato per godere del momento conviviale che stavo offrendo loro. Non potevo del tutto biasimarli.
In fondo, li avevo invitati con l'inganno.
Conoscevo il conte di Roccatetra e il marchese di Portotempesta da una vita, ed ero amica di entrambi. Tempo addietro, però, uno sgarbo commesso in gioventù che probabilmente nessuno dei due ricordava aveva scatenato il reciproco odio, e a quello sgarbo ne erano seguiti altri, sempre più gravi, da ambo le parti, fino a renderli quel che erano diventati in tempi odierni, ovvero acerrimi nemici. Ormai tutti sapevano che non li si poteva avere nella stessa stanza senza rovinare una riunione, una cena, una festa. Invitare solo uno avrebbe provocato il risentimento dell'altro, perciò, salvo gli amici più stretti, per non offendere alcuno dei due ed evitare problemi l'alta società li aveva del tutto esclusi dagli eventi di gala. Sarebbe parso sospetto a entrambi se fosse arrivata presso di loro una lettera ufficiale con l'invito a un gran ballo.
Una richiesta personale da parte mia per un incontro privato invece sembrava del tutto normale e priva di rischi, soprattutto perché a entrambi avevo assicurato di aver intenzione di preparare il tè soltanto per due. Non ero stata del tutto disonesta, in fondo, le due tazzine di tè, i pasticcini glassati, le fette di dolce al cioccolato, i panini al latte, lo zucchero, il miele, i due cucchiaini, le due forchettine e le due pistole posate accanto a queste ultime come se fossero parte del servizio d'argenteria erano tutte per loro.
Avevano protestato, all'inizio, il conte di Roccatetra e il marchese di Portotempesta quando si erano trovati uno di fronte all'altro nella veranda, ma dopo qualche rimostranza ero riuscita a farli sedere ai lati opposti del tavolino tondo dalla superficie luccicante, e questa la consideravo già una vittoria.
Quando sedetti anch'io tra loro, di fronte alla vetrata e senza alcuna tazzina davanti, i due alternavano sguardi in cagnesco a occhiate diffidenti ma bramose alle pistole.
– Potete usarle, signori, ma a vostro rischio e pericolo – la mia voce sommessa tra le note morbide del pianoforte attirò la loro attenzione. – Ho chiesto al maggiordomo di caricarle casualmente a mia insaputa. In ciascuna delle due può esserci un proiettile, tutti, o nessuno. Non so voi, ma io non vorrei essere nei panni dello sventurato che scopre nel peggiore dei modi di avere dalla sua una pistola scarica.
– Che cosa significa tutto questo, Miranda? – interloquì il marchese, mentre il conte si limitò ad aggrottare le sopracciglia.
– Questa storia è andata avanti troppo a lungo. Vi ho invitati qui per parlare, per risolvere la vostra disputa una volta per tutte, in un modo o nell'altro – rivelai in tono severo, con un accenno alle pistole. – E per bere il tè, naturalmente. È una così bella giornata, non trovate?
Il conte sbuffò. – Se pensate che io possa perdonare quell'infame, dopo quello che mi ha fatto...
– Quello che gli ho fatto? Ma l'avete sentito? – Il marchese fremette d'indignazione, afferrando una ciambellina dalla glassa azzurra. – Ma se è stato lui a cominciare!
– Menzogna! – tuonò il conte. Fissava me, parlava a me, ma agitava verso il rivale il cucchiaino colmo di miele. – Onestamente non riesco a capire come possiate essere amica di un bugiardo della peggior specie, di quel manigoldo di un furfante...
– Per l'amor del cielo! Miranda, amica mia, ditegli di andarci piano con le offese o sarò costretto a fargli rimangiare le sue parole con il piombo!
– Amica mia! – rimarcò il conte, come a voler sottolineare la sua priorità nei miei affetti. – Comprendo i vostri nobili intenti, ma vi prego di cacciare colui che è di troppo a questo tavolo, perché così non può funzionare.
Il marchese tuffò un biscottino nel tè. – Appunto, mio malgrado devo dare ragione a quell'individuo sgradevole e insolente e pregarvi di liberarci della sua presenza.
Il battibecco proseguì su questi toni, tra urla, minacce, insulti per svariati minuti, mentre il profumo del tè che si andava raffreddando riempiva la veranda di un dolce effluvio. Io sbirciavo le tazzine, ma sapevo che non era destinato a me. Ogni tanto li esortavo a berlo finché era ancora tiepido, e loro obbedivano in modo meccanico, trangugiando un sorsetto senza nemmeno gustarlo.
A volte lo sguardo del conte di Roccatetra o quello del marchese di Portotempesta correva alla pistola a portata di mano, ma nessuno dei due fece mai il gesto di prenderla e puntarla all'odiato avversario. In fondo, avevo sempre saputo che non era così che sarebbe finita.
Il primo fu il conte, che nel bel mezzo di un'arringa sulla supposta malvagità del marchese si portò le mani allo stomaco, fece una smorfia e mormorò: – Miranda... non mi sento molto bene.
Il marchese, che sudava copiosamente e già da un po' si sventolava con il tovagliolo, alzò gli occhi dal piattino del dolce e disse: – In effetti fa molto caldo qui... non si potrebbe chiamare Agnes per aprire una finestra?
Scossi la testa, posai le mani sul tavolo e mi alzai. – Signori, state calmi, è tutto normale. Ho avvelenato i vostri tè.
Sguardi di panico da parte di conte e marchese, di fronte ai quali rimasi impassibile e sorridente. Riuscivo a immaginare a cosa stavano pensando. Dopo l'incredulità, "ma come può la mia amica Miranda farmi questo?", veniva il rifiuto, "è uno scherzo!", e infine la paura, "aah, aiuto, non voglio morire!".
Il tovagliolo cadde di mano al marchese e il conte si mise a singhiozzare e a pregarmi sottovoce.
Risposi alle sue preghiere con la stessa alterigia ieratica di una dea. – Non ho con me nessun antidoto. Io non posso salvarvi. Ma voi potete farlo – indicai le tazzine in cui restavano ancora due dita di tè. – Ho preparato le bustine in modo che ciascuna delle due contenesse un veleno diverso, assieme a una parte degli ingredienti per neutralizzare l'uno e l'altro. Solo combinati, ciò che resta dei vostri tè può salvarvi. Come vi comporterete e chi vivrà dipende solo da voi.
Avevo in mente diversi scenari, ma come sempre accade, la realtà supera di gran lunga ogni fantasia. Avevo immaginato che avrebbero proseguito il battibecco su come mescolare i tè e chi avrebbe bevuto l'antidoto per primo, litigando fin prima di spirare; oppure che uno dei due sottraesse la tazzina all'altro per versare la bevanda nella sua e bere l'antidoto fino all'ultima goccia.
Mai avrei immaginato che i due si allungassero sulla tavola, incontrandosi al centro mentre piattini, zuccheriere e tortiere fracassavano al suolo in una cacofonia di porcellana spezzata e tonfi di crostatine e bignè, che senza una parola facessero combaciare i bordi delle tazzine e mescolassero con vigore, per poi separarle e dividersi equamente l'antidoto e infine bere tutto d'un fiato la propria parte.
– Visto? È stato facile... – iniziai a mormorare, ma il conte di Roccatetra e il marchese di Portotempesta mi fissarono, e nei loro occhi non c'era gratitudine, bensì un odio feroce.
Afferrarono all'unisono le pistole e le puntarono verso di me.
– Quanto vi fidate del vostro maggiordomo, duchessa? – chiese il conte di Roccatetra. – Avrà messo un proiettile, tutti, o nessuno?
Alzai le mani in segno di resa e indietreggiai. – Signori, non è il caso di farne un dramma, è finito tutto bene, mi pare...
Il marchese di Portotempesta colse il mio sguardo alla porta e soggiunse: – Non vi conviene chiamare Agnes, o potrebbe essercene uno anche per la vostra sciagurata complice.
Non avevo previsto un simile di epilogo per il mio piano ingegnoso. Che aveva funzionato, senza ombra di dubbio, perché i due sembravano andare più d'accordo che mai. Tentai di spiegarlo, ma ormai non aveva più importanza che i cosiddetti "veleni" avrebbero avuto in ogni caso il mero effetto di un fastidio temporaneo, e che non avevo mai somministrato loro alcunché di letale.
Avrei dovuto indovinare che cosa alla fine li avrebbe spinti a riconciliarsi, o almeno a stabilire una tregua. Nulla unisce di più due uomini che un comune nemico, e sfortunatamente per me, io ero appena diventata quel genere di collante.

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