lunedì 12 settembre 2022

Alla faccia della Luna


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Foto di brenoanp da Pexels


Eccomi. Questa è la mia ultima notte. Dopo tanti anni di onorato servizio il faro sulla scogliera e io, il suo guardiano, siamo stati dichiarati obsoleti e relegati nei libri di storia. Tutte le luci si sono spente a una a una, ormai non serviamo più. Molti dei miei colleghi erano già stati mandati in pensione da un sistema automatizzato di accensione e spegnimento delle luci che era possibile far controllare da remoto a una singola persona, senza bisogno di una presenza umana su ogni torre lungo la costa. Io ero rimasto, reliquia del passato a dispetto di un futuro che marciava a grandi passi sul presente, l'ultimo guardiano del faro, forse perché la mia torre era troppo isolata, forse perché installare quel sistema anche qui non rientrava nel budget. Be', ora tocca anche a me andarmene. Il faro, molto probabilmente, verrà venduto a un affarista che ne farà un esclusivo resort di lusso per ricconi misantropi, viziati e coccolati da massaggiatori personali e da un cuoco stellato con le sue minuscole porzioni di piatti vegani, molecolari e macrobiotici. Alla faccia della Luna, che li guarderà stupita da lassù, chiedendosi dove io sia andato a finire.
È stata la mia unica compagna, la Luna, nel corso di questi lunghi anni solitari. Restavamo svegli tutta la notte, io, lei, i cani che latravano in lontananza e le civette. Ma cani e civette mi ignoravano; lei no. Rivaleggiava con la mia luce certe notti in cui si faceva piena, luminosa e splendida, come a dire "a cosa servi tu? Ci si vede come fosse giorno, ed è tutto merito mio". Ma non durava mai a lungo, lei si stancava presto. La mia luce era la costante attorno a cui girava il mondo. O almeno, il mondo navale. Fissa nello spazio e nel tempo, immutabile. Della Luna, invece, non ci si poteva fidare. Eterna girovaga, non era mai nello stesso punto del cielo notturno. Certe notti, nemmeno si presentava. O arrivava al mattino, snella come una soubrette di varietà, quando ormai non serviva più. Quanto l'ho maledetta quella notte di tempesta, quando il vento ha sfondato la finestra e rotto la lampada del faro! Cambiarla nell'oscurità più totale tra i frammenti di vetro e l'ululato della bufera è stata un'impresa, ma non potevo oziare o nascondermi come la timida Luna. Qualcuno là fuori, tra onde alte e raffiche di maestrale, cercava il raggio rassicurante della mia luce, contava su di me.
Ma dopo stanotte non ci saranno più bufere, né conversazioni notturne a tu per tu con la Luna, per tenerci svegli l'un l'altro. Questa normalità che a qualcuno potrebbe apparire folle mi mancherà parecchio.
La mia ultima notte, e voglio godermene ogni singola goccia. So che non sarò mai più così in alto, mai più così solo. Il mormorio delle onde che lambiscono gli scogli, il profumo salmastro, il rintocco di una campana in lontananza, forse in paese, o magari su una nave che costeggia la riva diretta a un approdo? È buffo, ma questa reliquia del passato, la campana, sopravvivrà al mio mestiere. Perfino in quest'epoca in cui tutti hanno un orologio, e molti più di uno. E chi non lo indossa, può sempre consultare lo schermo di un cellulare per sapere l'ora.
Io, stanotte, preferisco non conoscerla. E maledico le campane, e mi tappo le orecchie ogni volta che le sento, per non contare i rintocchi. Non voglio sapere quanto poco manchi al termine della mia ultima notte di servizio. Preferisco ascoltare i cani, che nel loro abbaiare non badano all'ora.
C'è un po' di nebbia stanotte, che rende la luce del mio faro scintillante e solida nella bruma lattiginosa. Il basso muggito di un corno da una nave al largo pare volerla interrogare sulla direzione da prendere. O forse lo immagino soltanto, chissà se mancherò a qualcuno.
Il cielo si schiarisce, albeggia, è tempo di spegnere il faro per l'ultima volta. Ho già fatto i bagagli, non voglio restare qui a rimuginare sul passato nemmeno per un secondo più del necessario. Ho già detto addio alla torre, al faro, alla mia vecchia casa.
M'incammino per la strada che porta in paese, in cerca di una locanda o un'osteria ancora aperta a quest'ora per farmi un goccio, alla faccia della Luna.
Poi mi volto. La cerco, la trovo. Come me è ancora sveglia, ancora a zonzo. – Dai, vieni a berti qualcosa assieme – le propongo. – Offro io.
La Luna salta giù dal cielo e mi accompagna in paese.

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