lunedì 17 ottobre 2022

In viaggio nel tempo


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Foto di Pixabay da Pexels


Guardai fuori dal finestrino della carrozza. Pioggia. Strade lastricate. Lampioni alimentati a gas.
Londra, seconda metà del diciannovesimo secolo. La metà migliore dell'epoca vittoriana.
Avrei voluto dire che mi ero trovato in situazioni più strane, ma sarebbe stata una bugia.
Quella sera lo trovai fuori dalla porta del mio appartamento con addosso quel che pareva un abito d'epoca, panciotto sotto una giacca di velluto, pantaloni coordinati, scarpe nere e lucide e un soprabito lungo. Sottobraccio, un cappello a cilindro e un involto di stoffa, che adagiò con cura sul divano.
– Indossalo – disse soltanto, indicando l'involto di stoffa.
Dentro, un completo simile al suo, ma laddove il suo era nero, il mio era di una sfumatura che ricordava il colore dei miei veri occhi, dietro le lenti colorate, e delle squame che avevo scoperto di avere sottopelle.
– Andiamo a un ballo in maschera? – gli chiesi. I suoi occhi, neri e profondi, sembrarono accendersi di un bagliore divertito. Non mi rispose, perciò feci spallucce e mi cambiai.
Quando fui pronto, indossò il cilindro in testa, e ne calcò uno identico sulla mia. Lui sembrava perfettamente a suo agio in quegli abiti, signorile ed elegante come se non avesse mai messo altro. Io mi sentivo ridicolo.
– Bene. Conosci la teoria, e ti ho portato con me in un paio di salti – esordì lui, avvicinandosi.
– Sì, e me la sono cavata piuttosto bene per uno che pensava di essere umano fino a un paio di mesi...
– Questo sarà diverso – mi interruppe lui. – Il nonspazio, la dimensione di passaggio per attraversare le distanze, è vasta esattamente quanto si estendono i corpi che la occupano temporaneamente, e non di più. Lì esiste solo il tempo, in assenza di spazio. Il nontempo, al contrario, è infinito. Ma è privo di tempo, e tutto accade nel medesimo istante. L'unico modo di navigarlo è tramite una forte volontà di agire. – Sospirò e mi prese sottobraccio. – Ho visto invasori che speravano di sfruttare altre epoche per i loro scopi, bloccati per sempre nell'unico istante del nontempo, statue viventi eternamente sospese. Perciò non lasciarmi, o sarai perduto.
– D'accordo – mormorai di rimando.
Ottimo, proprio il discorso che mi serviva per sentirmi più tranquillo. Non lo dissi, ma era logico supporre che lui avesse sentito lo stesso quel pensiero. Ero ancora un principiante con le barriere mentali.
Lui allungò un braccio dietro la mia schiena e mi trasmise l'immagine di un vicolo, muri di mattoni e una torre con un orologio in lontananza, appena visibile tra la nebbia.
– Va bene. Possiamo andare, ce l'ho – gli dissi, aggrappandomi all'immagine tridimensionale con tutta la forza della mia concentrazione.
Il passaggio attraverso il nonspazio si chiamava "salto" perché tanti lo eseguivano prendendo la rincorsa e poi saltando davvero prima di sparire. Per lui no, non era mai stato così.
A lui bastava fare un passo.
Un passo, e fui risucchiato in un altrove inspiegabile. Non il lampo di gelido buio del nonspazio. Un'eternità sfocata, un universo capovolto abitato da scie che mi sfioravano, mentre la mia stessa immagine si moltiplicava e non capivo più se ero quello prima o quello dopo o quello che ancora doveva venire, e nella confusione quasi persi l'immagine su cui dovevo concentrarmi, ma le mie barriere erano abbassate e lui la forzò di nuovo dentro di me, sovrastando le urla che sapevo venire da una di quelle statue di cui lui mi aveva parlato, e altre voci, no, pensieri, più lieti ma annebbiati, e immagini di altri luoghi e altri tempi a cui altri si stavano aggrappando in quella traversata. L'aria era densa, quasi liquida, e la luce abbagliante, ma all'improvviso l'immagine nella mia mente divenne più reale di quell'incubo, calò l'oscurità e di certo sarei caduto a terra nell'atmosfera rarefatta, se non ci fosse stato il suo braccio a trattenermi.
Ero nel vicolo.
Lui mi rivolse una breve occhiata, forse per assicurarmi che stessi bene, poi sciolse l'abbraccio e mi invitò a seguirlo verso la strada principale. Si era ripreso molto più in fretta di me. Io sbuffai, lo affiancai e lasciai che mi guidasse. Resistetti all'impulso di tapparmi il naso per l'odore intenso, di stalla o di qualcosa di simile, a cui non ero abituato. Più avanti, sentii lo scalpiccio degli zoccoli e il cigolio delle ruote prima ancora di vederle.
Nell'alone dei lampioni a gas ovattato dalla nebbia, una carrozza mi passò così vicino che quasi mi travolse. Trattenni con una mano il cilindro e soffocai un'esclamazione colorita del ventunesimo secolo.
– È... è tutto vero, insomma, non siamo sul set di un film? – bisbigliai mentre camminavamo assieme lungo strade nebbiose. La torre che avevo intravisto era il Big Ben, il che mi dava almeno un'idea precisa di dove eravamo, anche se non avrei saputo dire esattamente quando. Un paio di secoli prima era il mio azzardo, prima che lui mi desse qualche riferimento più preciso.
– La mia città e la mia epoca preferita – concluse. – Vengo spesso qui.
Lo scrutai nella luce dei lampioni, chiedendomi ancora una volta quanti anni avesse. Mi aveva spiegato che quelli come noi potevano in teoria vivere all'infinito, ed esibire l'età umana che preferivano, entro certi limiti, perciò sapevo che la giovinezza del suo volto era un'illusione, e d'altra parte la sua calma imperturbabile, i suoi modi e soprattutto i suoi occhi scuri, che davano l'impressione di appartenere a una creatura antica, rivelavano che doveva essere molto più vecchio di me.
– La tua preferita... perché ci sei nato? – indagai. La mia ipotesi gli dava poco meno di duecento anni, plausibile, data l'impressione che mi faceva.
– La mia età non può essere calcolata con nessuna unità di misura – rivelò infine, mentre svoltavamo a un incrocio, dopo il passaggio dell'ennesima carrozza. – Sono nato e cresciuto nel nontempo. Mia madre è la Guardiana di quella dimensione, l'ultimo baluardo contro gli invasori davvero determinati a portare scompiglio tra le epoche.
Rabbrividii. Da qualche parte, le campane di una cattedrale batterono una serie di cadenzati rintocchi, e un cavallo di passaggio nitrì.
Il mio primo pensiero: ma allora è davvero molto più vecchio di quanto immaginassi!
Il mio secondo: come può un bambino crescere in quella dimensione di pura confusione, privato del tempo, privato di tutto.
Non feci in tempo a provare pietà per lui. Lo scroscio di pioggia fu improvviso e, oserei dire, provvidenziale.
Lui mi afferrò per un braccio e mi condusse a rifugiarmi nella prima delle carrozze parcheggiate a lato della strada. Non sentii nemmeno il nome della via o piazza che disse al vetturino, ma almeno capii che dovevamo essere nell'equivalente di un taxi per quell'epoca.
– Giro panoramico – mi disse lui, e io mi allungai verso il finestrino per osservare i monumenti, i palazzi, le chiese. Se mi avessero detto, qualche mese fa, che avrei fatto il turista nel tempo, non ci avrei mai creduto.
Ma d'altra parte, qualche mese fa, pensavo ancora di essere umano, e che non potessero esistere creature antiche e misteriose come quella che mi sedeva accanto.

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