lunedì 10 ottobre 2022

Troppo giovane


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Guduru Ajay bhargav da Pexels


Ogni volta che guardavo fuori dal finestrino di un aereo, mi tornava in mente il mio primo viaggio. Ero con mio padre, e stavamo solo andando in uno stato confinante, ma quello per me fu un grande passo. Dicevano che ero troppo giovane per iniziare a prendere parte agli affari di famiglia. Ipocriti.
Mia cugina, poco più che una bimbetta scalciante all'epoca di quel mio viaggio, aveva partecipato al suo primo duello quando di anni ne aveva undici, due in meno rispetto a me, e nessuno aveva avuto da ridire. Ma lei era quella normale. Aveva dimostrato fin da bambina di avere ereditato il talento che scorreva nel sangue delle nostre famiglie, la capacità innata di passare dalla realtà comune a quella che chiamiamo distorsione, un dono indispensabile e necessario, fino a qualche anno fa, per partecipare al gioco. Mentre io... io ero l'anomalia.
Non sarei stato in grado di entrare nella distorsione nemmeno se fossi stato in pericolo di vita. Ne ero certo, perché l'unica volta che mi ero trovato in una situazione del genere, era stato salvato dalla prontezza di mio padre. Lui mi aveva sottratto alla collisione con un'auto impazzita trascinandomi con sé nella distorsione. E dopo, quando ero tornato, avevo vomitato anche l'anima.
In un altro tempo, pur conoscendo il segreto dei miei parenti, la mia totale incapacità di seguirli mi avrebbe condannato a una vita comune. E allora mi sarei sentito menomato, nonostante apparissi integro al resto del mondo. Beffato dal destino in una maniera inimmaginabile, poiché al contrario degli esseri umani comuni, io non avrei mai potuto ignorare, o dimenticare, la posta in palio in una guerra millenaria dalla quale ero escluso.
Ma questo era il destino di quelli come me prima dell'avvento della tecnologia. Prima che alcuni delle antiche famiglie scoprissero un nuovo modo, un modo artificiale di generare la distorsione, e iniziassero a produrre i Simpler.
In principio quelle macchinette erano state fatte per tutti coloro che come me appartenevano alle antiche famiglie senza condividerne il potere. Mio padre era nel progetto, perciò ebbi la fortuna di sperimentare uno dei prototipi. Fu grazie a quell'affare enorme e goffo che partecipai al mio primo duello.
Persi. Non mi importava. Ero dentro, non ero più un escluso.
Da lì, conosci la storia. Serviva molto denaro per perfezionare la tecnologia e renderla portatile e discreta, il che costrinse le antiche famiglie a cercare finanziatori e ad ampliare l'uso del Simpler e l'ammissione al gioco a una ristretta cerchia di persone "utili", che a loro volta ne coinvolsero altre, per passaparola, ma sempre su base segreta ed elitaria. Nessuno di loro considerava i duelli come qualcosa di più di un passatempo particolare. Non erano mai stati messi a parte dell'esistenza del gioco prima e al di fuori dell'uso del Simpler. E nessuno di loro si è mai rivelato un avversario degno di questo nome, erano più dei sassolini nella scarpa da togliere, ma dovevo comunque sfidarli poiché con il loro ingresso nella distorsione, seppure artificiale e non parte del loro DNA, avevano inconsapevolmente preso parte a quella guerra segreta. Quello era un effetto collaterale della creazione del Simpler: il numero di persone da dover affrontare per giungere alla vittoria si era notevolmente ampliato. Perciò, mentre la durata dei viaggi si era ridotta - qualche secolo fa i miei antenati ci invecchiavano tra un duello e l'altro, dovendo attraversare l'oceano via nave - le tappe da fare per scovare tutti i partecipanti si erano moltiplicare.
Perciò, per quanto ne dicesse la generazione precedente, non si era mai troppo giovani per iniziare a partecipare al gioco, perlomeno, se si voleva avere una qualche speranza di vincere prima di morire di vecchiaia. Dimenticavano, loro, forti del potere che scorreva nel loro sangue, di aver fatto lo stesso ragionamento all'inizio della loro carriera.
Quanto a me, tra una tappa e l'altra, ormai avevo accumulato parecchie miglia, e i miei viaggi in aereo non avevano più lo stesso sapore di meraviglia, di eccitazione, di quel mio primo viaggio. Non avrei mai potuto dormire quando, con il mio Simpler nel bagaglio a mano, fatto passare come un banale giochino elettronico nelle operazioni di controllo, seguivo mio padre in una città diversa per sfidare i rampolli e i membri più anziani di una famiglia rivale. Adesso invece il rumore bianco, quel ronzio nelle orecchie divenuto così familiare, mi induceva in un sonno troppo a lungo rimandato, in attesa di svegliarmi in un altro luogo, con altri avversari, altre sfide, nella frenetica rincorsa di una vittoria che per la mia giovane età sentivo, se non a portata di mano, perlomeno possibile. La mia rivincita su tutti coloro che ancora mi guardavano dall'alto in basso per la mia carenza, e che dicendo a mio padre che ero troppo giovane, in realtà gli stavano dicendo che per la mia mancanza di un talento naturale non ero un loro pari, e non sarei mai stato in grado di stare al passo con uno di loro.

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