giovedì 20 ottobre 2022

Profanata


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Alycia Fung da Pexels


Il primo indizio che il nostro idillio non sarebbe stato tale per sempre lo ricevemmo al nostro terzo autunno a Tana del Diavolo. Era così che la gente del posto chiamava la collina, ed era così che avevamo nominato, quasi per scherzo, il nostro piccolo villaggio di appena dieci casupole.
Con il senno di poi, avremmo dovuto prestare più attenzione ai segnali della toponomastica.
Voglio parlarti di quella notte, una notte di fine ottobre. La notte in cui Alice scomparve.
Aveva promesso a Rosaura e a Miraela di aiutarle con un nuovo rituale che prevedeva la presenza di un trio, ma a casa di Rosaura, Alice non era mai arrivata. Quando non la trovarono nemmeno a casa sua, nel suo letto, le due donne vennero a svegliarci.
– Si sarà dimenticata e se ne sarà andata in giro a inseguire uno dei suoi gatti – brontolò Ingrid, che per quella notte non aveva altro programma se non quello di tornare a letto.
Scossi la testa. – Alice? Io non credo.
Se faceva una promessa, Alice la manteneva. Inoltre, adorava esercitare la magia, tra noi era sempre la prima a mettersi alla prova con un nuovo insegnamento dei nostri angeli, e non avrebbe perso per nulla al mondo l'occasione di far parte di un trio. No, doveva esserle accaduto qualcosa.
– Guardate là! – disse Rosaura, e indicò il bosco. Più in basso lungo le pendici della collina, a destra del villaggio, baluginava tra i rami dalle foglie rade uno scintillio rossastro.
Capimmo subito che si trattava di un fuoco, e che Alice si trovasse là o meno, era nostro dovere andare a indagare e, se le fiamme minacciavano di propagarsi, a spegnere quel principio d'incendio. Non sarebbe stato difficile: con quello che sapevamo, l'estate prima avevamo domato fiamme anche più alte ed estese, quando un fulmine aveva colpito un vecchio abete stillante di resina.
La luna piena quella notte illuminava i nostri passi quanto le lanterne che avevamo portato con noi nel bosco. In quella luce spettrale, le foglie d'autunno cadute a terra e quelle che pendevano dai rami più bassi risplendevano dei colori del fuoco, mentre in alto e lontano dal nostro cammino si confondevano nell'oscurità. Il bagliore che dall'alto ci aveva indicato la via era scomparso tra i tronchi, ma comprendemmo di non essere troppo fuori strada quando lo vedemmo ricomparire alla nostra sinistra, in mezzo agli alberi. I bagliori erano più di uno, sparsi a terra e alla nostra altezza. Ci affrettammo.
Non era un incendio.
Innumerevoli candele bruciavano al riparo di un rudere, a malapena una parete di assi di legno sfondate da un tronco caduto e tre o quattro colonne che come i resti di un antico tempio reggevano con tenacia quel che restava del tetto. Zucche intagliate con sorrisi inquietanti facevano capolino qui e là tra una nebbia liquida, composta di vapori nauseabondi che fuoriuscivano da un calderone ribollente al centro di quell'inquietante scena. E ovunque, gatti, molti di più di quelli che vivevano in casa di Alice e nei suoi dintorni, si aggiravano sinuosi e indolenti, con gli occhi che risplendevano alle fiammelle delle candele.
Alice era in piedi, di spalle, affaccendata a vagliare il contenuto di bottiglie e sacchetti posati su un tavolino ingombro. I suoi capelli biondi erano scarmigliati e in disordine, i suoi abiti strappati in più punti, ma da quel che potevamo vedere, non sembravano esserci ferite sotto quegli strappi.
Un corvo che beccolava da un piatto di legno posato sul tavolo gracchiò al nostro arrivo.
– Alice? – Ingrid riuscì a dire solo quello, poi si tappò il naso e si protesse la bocca con una mano per difendersi dal miasma che emanava dal calderone.
Mi guardai indietro: Miraela non osava avvicinarsi, e Rosaura era rimasta indietro a confortarla. Sembravano entrambe molto spaventate.
– Tesoro, stai bene? – le chiese Clara, avvicinandosi a lei.
Alice non si voltò, ma bloccò le mani che fino a quell'istante avevano danzato in una ricerca frenetica tra gli oggetti sul tavolo. Inclinò la testa da un lato.
– Alice? – sussurrò, come a fare il verso a Ingrid, ma la sua voce era strana, stridente, come il verso di una cornacchia.
Clara esaminò gli strappi dei vestiti sulla sua schiena, poi la costrinse a voltarsi e le pose le mani sulle spalle. Lo sguardo di Alice era stralunato, la sua espressione assente.
Nel frattempo, tranne Ingrid, Rosaura e Miraela, ci eravamo avvicinate alla spicciolata, una alla volta, man mano che racimolavamo il coraggio di farlo.
– Tesoro – disse ancora Clara. – Che cosa ti è successo, puoi dircelo?
Alice rimase immobile, silente. I gatti ci camminavano tra le gambe, e ogni tanto qualcuno miagolava lievemente.
– Vieni, ti portiamo a casa – mi azzardai a dirle io. Me ne pentii subito. Qualunque cosa l'avesse ridotta in quello stato, doveva essere avvenuta a casa sua.
Gli occhi spenti di Alice si fissarono su di me, e dalle labbra le sgorgò una risata vuota. Poi, con la stessa voce sgraziata da cornacchia, rovesciò su di noi parole rapide, che rotolavano l'una nell'altra fino a confondersi: – La mia casa non è la mia casa io non sono più io. Rovesciata morsa gettata dentro è fuori fuori è dentro!
Ci scambiammo sguardi sbigottiti, mentre il suo folle discorso si riduceva a un mormorio ripetuto: – Profanata... profanata... la casa profanata, la testa profanata... tutta... tutta profanata...
Clara alzò una mano per accarezzarle una guancia. – Che cosa ti ha fatto? – considerò, esprimendo quello che ormai tutte pensavamo. I nostri affascinanti angeli, dai quali così tanto stavamo apprendendo, erano creature di immenso potere, ma fino a quella notte non avremmo mai potuto immaginare che lo avrebbero usato anche per il male.
Eppure ci avevano detto di non avere alcun limite.
Quando Clara ripeté la domanda, con dolcezza, Alice di scatto le afferrò la mano, le rivolse gli occhi folli e sbottò: – Volevo sapere... volevo di più... volevo... volevo... – La sua voce mutò in un timbro beffardo: – La curiosità ha ucciso il gatto, lo sai, vero? Ha ucciso... il gatto...
Fu Ingrid a muoversi, sbuffando un: – Adesso basta! – ci urlò di allontanarci da Alice e poi le lanciò una manciata di polvere soporifera.
Alice crollò a peso morto tra la nebbia maleodorante.
Spegnemmo tutti i fuochi, poi la portammo a casa di Clara, che vegliò su di lei per tutta la notte. Chi riuscì a farlo, dormi sul divano o sulle poltrone in casa di Clara, perché non ce la sentivamo di stare da sole, non quella notte.
Alle prime luci dell'alba Ingrid e Julia andarono a casa di Alice e trovarono un gatto nero, uno dei suoi, sventrato e inchiodato a una parete. Non capimmo mai se fosse stato il suo angelo, oppure la stessa Alice, nella sua follia, a farlo. Lo tirarono giù e lo seppellirono, e fortuna che Miraela e Rosaura, nel buio, quando erano andate a cercare Alice quella notte, non lo avevano visto.
Alice si riprese, ma non fu più la stessa. Non menzionò più l'accaduto, e quando le chiedevamo qualcosa a riguardo ci guardava stupita e confusa, come se non ricordasse nulla di quella notte; però divenne più misteriosa, con una certa vena di follia che sembrava esserle rimasta appiccicata addosso, e che talvolta sconfinava nella saggezza. Bruciò i suoi vestiti colorati, e altri li tinse di nero, e non indossò più altra tinta che quella.
Circondata perennemente dai gatti, con i suoi lunghi abiti neri, se avessi dovuto identificare una strega tra le donne di Tana del Diavolo, avresti senza dubbio detto che la strega era lei.

Nessun commento:

Posta un commento