giovedì 15 dicembre 2022

Fame


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Foto di Gratisography da Pexels


Shila sobbalzava sulla sedia a ogni colpo sordo del timbro sbattuto sulla pila di fogli. Era la prima volta che la portavo all'ufficio postale e per lei tutto era nuovo, strano, spaventoso. Si strinse di più a me, piegando la testa contro la mia spalla, quando un uomo anziano si alzò dalla fila di sedie e si avviò allo sportello dove avevano chiamato il suo numero. Le accarezzai la testa per rassicurarla, sbirciai il mio foglietto numerato e le mormorai: – Coraggio, non manca tanto.
Una nuova raffica di rumori sconosciuti le fece volgere la testa a destra e a sinistra con i rapidi scatti di un uccellino spaventato. Una fotocopiatrice che sparava raffiche di fogli dalle sue viscere. Un carrello stracarico di buste e pacchi che veniva spinto su ruote cigolanti. La voce distorta di un annuncio che si diffondeva da un altoparlante e ricordava a tutti di prendere un numero dal totem e attendere il proprio turno. Una serie di bip insistenti da chissà quale macchinario e poi, la porta che veniva aperta e un gruppo ciarliero di signore di mezz'età appena giunte che si affaccendavano attorno al touch screen discutendo su quale fosse il pulsante da premere per un versamento, per spedire una raccomandata o per parlare con un'addetta a proposito dei fondi su un libretto.
Io ne capivo abbastanza, ma mi rendevo conto che per Shila erano tutte chiacchiere incomprensibili. Lei aveva in mente una sola cosa.
– Mistral, io ho fame – si lamentò la piccola.
– Lo so, Shila. Porta un po' di pazienza.
Avevo fame anch'io, ma non serviva a niente dirlo. Se tutto andava per il verso giusto, presto avremmo avuto di che sfamarci. Questione di ritirare il pacco per cui ero venuta e trovare un posto tranquillo dove nessuno ci avrebbe disturbato.
Quell'acquisto era stato un azzardo, visto come ci era andata le ultime due volte. Merce danneggiata, o avariata e del tutto inutile. Era difficile stabilirlo da una fotografia, soprattutto una che poteva nascondere i difetti sul lato non visibile, o appartenere a un esemplare diverso da quello messo in vendita, o essere stata scattata tempo prima, e non rappresentare più la condizione attuale della merce. A questo si aggiungeva l'ignoranza dei collezionisti dai quali acquistavo la merce.
Non erano affatto in grado di capire di che cosa avevo bisogno.
– Io ho tanta, tanta fame – soggiunse Shila, e nascose il volto contro il mio braccio all'assalto di una nuova cacofonia di suoni. Troppe voci tutte assieme, troppi scatti metallici dalla doppia porta che veniva usata per passare i pacchi, troppi pigolii elettronici dalle calcolatrici e dai computer.
– Vuoi un cioccolatino, tesoro? – disse la signora che era venuta a sedersi accanto a me, dall'altro lato rispetto a Shila, e nel dirlo allungò sulle mie gambe una scatola aperta, untuosa, con i vani dorati quasi tutti vuoti. Restavano ormai solo cinque praline ricoperte di cioccolato dall'aspetto opaco, vecchio, grigiastro.
Shila alzò gli occhi sulla signora e fissò il suo volto sorridente, pesantemente truccato, con l'espressione di chi non avesse proprio capito in che lingua gli avevano appena parlato.
– Grazie – dissi per lei, presi un cioccolatino e me lo ficcai in bocca. Diedi una leggera gomitata a Shila, che si affrettò a fare altrettanto.
Il gusto non era così cattivo. La cioccolata sapeva un po' di stantio, ma si scioglieva in bocca e foderava la lingua di un lieve strato dolciastro. Masticai la nocciola e ingoiai quel che restava del ripieno cremoso, senza avvertire alcuna attenuazione al mio senso di fame.
D'altra parte, non mi ero aspettata che quel cibo potesse saziarmi.
– Prendetene, prendetene pure quanti volete – ci esortò la signora imbellettata, un sorriso ancora più grande incorniciato di fucsia. – Sapete, i miei nipoti ne avanzano sempre troppi, e a me i dolci non fanno più tanta voglia...
Ne prendemmo un altro ciascuna, profondendoci in ringraziamenti, o almeno, io lo feci. Ma la signora non aveva occhi che per Shila, che la fissava di rimando dondolando le gambe.
Shila aveva l'aspetto di una bambina di otto o dieci anni, riccioli scuri, grandi occhi azzurri e le gote arrossate. Quando aveva fame sembrava anche più giovane, e in quel momento aveva davvero molta fame.
Io potevo dire di avere sedici anni quanto diciotto, all'occorrenza. Somigliavo a Shila quanto possono assomigliarsi due sorelle, ma i miei capelli erano lisci, di un castano chiaro, leggermente tendente al rosso, ed ero meno pallida. Nel tempo e nel luogo in cui ero venuta al mondo, sarei stata considerata già una donna, o quantomeno una fanciulla da marito.
Lo sportello di destra chiamò il numero della signora, che si alzò e ci lasciò la scatola di cioccolatini sulla sedia. – Finiteli pure, mie care – raccomandò prima di allontanarsi.
Sospirai e divisi tra noi l'ultimo cioccolatino, impiastricciandomi tutte le mani, solo perché la donna ogni tanto si voltava a guardarci dallo sportello.
Finì presto e quando tornò raccattò la scatola vuota. – Erano buoni, vero? – chiese in tono carezzevole, e senza attendere risposta sorrise un'ultima volta a Shila e se ne andò.
Shila scese dalla sedia e mosse un passo verso l'uscita. La bloccai. Sapevo che cosa aveva in mente, ma non potevo permetterglielo.
Quella signora aveva implicitamente promesso di sfamarci, ma non lo aveva fatto.
– No, Shila – le dissi in tono perentorio. – Dobbiamo lasciarla andare.
Non avevamo più ucciso nessuno da quando, mille anni fa, L'Ordine aveva annientato la cosa che ci aveva generate. Al contrario del nostro genitore, il nostro aspetto umano e la nostra apparente innocenza era ciò che ci aveva mantenuto in vita. L'Ordine non poteva immaginare che saremmo vissute così a lungo, forse anche di poter sopravvivere allo stesso Ordine che aveva attraversato i secoli gestito da una generazione dopo l'altra di ferventi dispensatori della giustizia a ogni entità che minacciasse l'esistenza della stirpe umana. Per prudenza, io supponevo che L'Ordine esistesse ancora, e che tuttora tenesse un occhio vigile su di noi, in attesa dell'errore che ci avrebbe condannate. A volte, mi sentivo davvero osservata da qualcosa.
Shila, ovviamente, non ricordava nulla di quel tempo, ma l'istinto teso alla ricerca di quello che poteva saziarla era ancora presente in lei. Shila era stata creata per non ricordare nulla al di fuori degli ultimi quattro o cinque anni, e anche quelli in maniera confusa, e del bisogno che animava entrambe. Lei viveva un eterno presente.
Io invece sapevo che cosa ci avevano tolto, e che cosa era necessario fare affinché non ci togliessero anche quello che ci era rimasto. La fame bruciava nelle mie viscere, ma abbeverarsi a una fonte vivente era una leggerezza che non potevo permettermi.
Lo sportello dei pacchi, quello accanto alla doppia porta di metallo, chiamò il nostro numero. Mi alzai e strinsi Shila a me.
– Mistral... – mormorò lei, in tono supplichevole, gli occhi ancora rivolti alla porta da cui era uscita la donna dei cioccolatini. Scossi la testa e la trattenni accanto a me, mentre ci dirigevamo allo sportello.
– Pazienza, Shila. Stavolta andrà bene, te lo prometto.
Nel corso degli ultimi mille anni, i fantasmi erano gradualmente scomparsi dai manieri e dai cimiteri infestati. Anche in oriente, templi e monasteri si erano pian piano svuotati degli spiriti che erano soliti accogliere le preghiere dei fedeli. Era stato un processo tanto lento e naturale, che L'Ordine non sarebbe stato in grado di collegarlo ai nostri vagabondaggi nemmeno se ci avesse provato. Non avevano modo di ricavare una prova che spettri e spiriti fossero mai esistiti in primo luogo, e la loro apparente scomparsa era facilmente attribuibile a un minor grado di superstizione e a una migliore capacità di raccolta di dati certi, invece di affidarsi ad aneddoti e pettegolezzi, nell'era della tecnologia.
L'aver esaurito buona parte delle anime disincarnate però aveva lasciato me e Shila con poco o nulla da mangiare. Era stato allora che avevo dovuto diventare creativa e studiare la storia di antichi manufatti creati dagli stregoni delle epoche passate allo scopo di intrappolare le anime dei loro nemici, o di sventurati schiavi, in vista di un rituale che necessitava di un tale sacrificio. Nella maggior parte dei casi era plausibile immaginare che L'Ordine fosse intervenuto prima che il rituale fosse compiuto, e che poi l'oggetto fosse passato di mano in mano per finire nelle grinfie di collezionisti che non ne conoscevano il reale valore.
Altrimenti, avrei dovuto pagare molto di più il pacco che stavo per ricevere.
Sbrigate le formalità, attesi con impazienza che l'addetta spingesse il pacco nel vano tra le due porte, e non appena mi fu possibile, aprii la porta dalla mia parte e lo ghermii.
– Andiamo! – dissi a Shila non appena lo ebbi tra le mani. Ma non avevo fatto che un paio di passi, che l'addetta mi richiamò indietro.
– Aspetta!
Il suo richiamo mi mandò un brivido di gelo lungo la schiena. Possibile che L'Ordine avesse infine capito come io e Shila eravamo sopravvissute così a lungo?
Se non avessimo divorato tutte quelle anime, saremmo entrambe morte già da tempo, dopo una straziante agonia paragonabile solo alla lontana alla fame degli esseri umani. Non era solo lo stomaco. Cominciava da lì, era vero, e per questo la chiamavamo fame, ma verso la fine l'intero nostro corpo avrebbe agognato un'anima con cui sostenere ancora per qualche anno la nostra esistenza. Avrebbe avuto fame la nostra testa, e fame le mani, fame le gambe, fame gli occhi, fame il petto, fame i piedi, fame le orecchie, fame le braccia, fame, fame, fame.
Eravamo state solo una volta a un passo dalla fine, io lo ricordavo, Shila no. Non avrei mai più permesso che accadesse, piuttosto avrei rischiato l'ira dell'Ordine, sarebbe stata una morte più rapida.
Ma non eravamo ancora arrivate a quel punto.
Mi voltai verso l'addetta delle poste con uno sguardo belligerante.
– Manca una firma – disse lei, spingendo un foglietto e una penna oltre la fessura ai piedi del vetro. Con un sospiro tornai indietro e apposi quell'ultima firma, prima di lasciare con Shila quel luogo brulicante d'anime incarnate, così vicine, così a portata di mano, così proibite.
Ci era andata male con il Medaglione degli Spettri Incatenati. Uno dei suoi proprietari non sapeva che rimuovere il fondo con le sue rune, per quanto consumato e crepato, per sostituirlo con una nuova lastra d'argento incisa a motivi fantasiosi avrebbe sciolto le catene, e addio spettri. Ci era andata male anche con il Tappeto dei Tessitori Morti: tutti quelli che avevano intrecciato i suoi fili per poi essere uccisi sopra la propria creazione erano da tempo passati a miglior vita, forse per un rituale di esorcismo compiuto sul tappeto, o forse perché tanti fili erano spezzati, e il sapiente fotografo si era premurato di scattare foto da vicino solo sui punti meglio conservati, ammesso che il tappeto delle foto fosse quello e non una riproduzione.
Ma il Pozzo delle Anime era esattamente ciò che speravo di trovare. Il manufatto aveva l'aspetto di una sfera armillare di una ventina di centimetri di diametro, solo che invece di cerchi perfetti quelli che si incrociavano erano i contorni di poligoni formati da un diverso numero di lati: dai quadrati e rombi più interni, si passava a un intreccio di pentagoni, esagoni, ettagoni e infine decagoni e dodecagoni. Al centro delle varie sagome di metallo brunito, luccicava uno zaffiro sfaccettato che pulsava dell'energia di centinaia di anime.
Mormorai una benedizione all'anonimo stregone che lo aveva riempito per noi ed era morto prima di poter sfruttare la sua creazione.
Shila mi guardò leccandosi le labbra. Il Pozzo delle Anime era decisamente più appetitoso di una scatola di vecchi cioccolatini.
– Preparati – le dissi, e già la vidi allargare la bocca oltre il limite di quanto era consentito da una mandibola umana. Fauci animalesche spalancate come quelle di un serpente pronto a colpire. – Non lasciamone sfuggire nemmeno una – conclusi, e aprii la bocca più che potevo a mia volta.
Non mi restava altro da fare che disporre i poligoni attorno allo zaffiro secondo una logica ben precisa, così da risolvere quel puzzle tridimensionale e liberare tutte le gustose anime rinchiuse nel pozzo.

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