giovedì 29 dicembre 2022

Tempo da lupi


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Victor Miyata da Pexels


Joshua era uscito da circa due ore e non era ancora tornato.
Ero rimasta da sola, io e un cavallo nella stalla piena di spifferi, con il vento che ululava appena fuori dalla porta della capanna. Avevo freddo, sebbene fossi accoccolata vicino al caminetto, e tremavo ogni volta che le raffiche di vento sembravano bussare direttamente contro la porta. Poteva essere Joshua, mi dicevo, forse era lui di ritorno, ma quel pensiero non era mai abbastanza convincente da indurmi ad alzarmi e andare ad aprire la porta. La sola idea del gelo che sarebbe entrato con il vento era sufficiente a trattenermi accanto al fuoco.
Non era rimasta molta legna. L'avevo razionata, centellinando ogni ceppo, ma anche così, sapevo che non sarebbe bastata per tutta la durata della tormenta di neve. Avevo già considerato di fare a pezzi le sedie, il tavolo e se occorreva persino il letto, il problema era che non avevo un'ascia, ma ero sicura che in caso di necessità avrei trovato il modo di smontare tutta la mobilia.
Se solo Joshua fosse stato lì con me, se solo non se ne fosse andato, avrei anche potuto pensare che superare la notte sarebbe stato facile.
Mi asciugai le lacrime. Era via da troppo tempo e questo poteva significare solo due cose. O aveva trovato riparo altrove, ed era impegnato a organizzare i soccorsi per tornare a recuperarmi, oppure...
Non volevo nemmeno pensarci, a quell'oppure. Se avessi osato pensarlo, l'immagine del suo corpo congelato tra turbini di neve mi si sarebbe piantata nel cranio e non mi avrebbe più dato pace. Meglio pensare al tepore del fuoco, sì, nel mio fragile riparo, e immaginare che Joshua si stesse scaldando, in quel momento, di fronte a un altro fuoco, un fuoco dalle fiamme più alte e più calde.
Sentii il cavallo nitrire oltre la parete di legno, ma nemmeno per lui me la sentivo di alzarmi e lasciare il mio posto accanto al fuoco. Era agitato fin da quando la tormenta era iniziata all'improvviso, mentre io e Joshua eravamo ancora per strada, e procedendo alla cieca tra raffiche di fiocchi bianchi, freddi come il tocco della morte, avevamo raggiunto la capanna disabitata e l'avevamo eletta a nostro riparo.
– Tempo da lupi – aveva detto Joshua, e dopo un po', quando ormai ci eravamo sistemati ed eravamo perfino riusciti a sonnecchiare un po' a turno sul lettino angusto in un angolo della capanna, Joshua aveva annunciato che sarebbe partito in cerca di aiuto.
Io lo avevo supplicato di non andare. Glielo avevo detto che quella non era una tormenta normale, che se il cavallo era agitato ci doveva essere un motivo, che le bestie lo sentono quando le cose non vanno come dovrebbero. Ma Joshua aveva riso delle mie superstizioni e se n'era andato lo stesso, là fuori chissà dove, lasciandomi sola.
Mi sfregai le mani e trasalii quando al soffio costante delle raffiche di vento si unì un altro ululato. Un lungo, lontano ululato di lupo. Non potevo sbagliarmi.
Il cavallo nitrì di nuovo e stavolta lo udii chiaramente scalpicciare con gli zoccoli sul posto e sbattere con il corpo massiccio contro la parete che divideva la stalla dalla casa. Una polvere finissima di schegge di legno mi piovve addosso.
– Smettila! – sbottai, in tono acuto e spaventato, e poi lo udii di nuovo.
Ancora quell'ululato di lupo, più vicino.
Mi rattrappii e strinsi le ginocchia al petto. Non era normale, continuavo a ripetermi, non era normale.
Con una tormenta del genere perfino i lupi se ne sarebbero rimasti al riparo nelle loro tane, stretti l'uno all'altro per tenersi caldo con le loro pellicce. Non se ne sarebbero andati in giro in mezzo a una nevicata così fitta che non si vedeva a un palmo dal naso, la luna era piena, sì, ma era nascosta dalle nuvole...
La luna era piena.
Scossi la testa. No, che idea assurda. Mi venne da ridere. Se Joshua fosse stato lì, con me, di sicuro mi avrebbe preso in giro per aver anche solo per un attimo considerato come possibile una sciocca superstizione.
L'ululato si ripeté, così vicino stavolta che sembrava quasi fuori dalla porta. Poco dopo, sentii qualcosa grattare contro il legno e nascosi la testa tra le braccia.
Rimasi in ascolto, ma non udii altro a parte gli sbuffi e i nitriti ansiosi del cavallo e il brusio delle ultime fiammelle tra i tizzoni. Era ora di aggiungere un altro ceppo ricordai a me stessa, non c'è niente là fuori a parte il vento, neve e vento, è questo che avevo sentito grattare contro la porta. Mi illusi, anche se sapevo che la neve farinosa non poteva in alcun modo produrre quel raspare, come di zampe di cane.
Un raspare che riprese e si fece più intenso, più pressante, unito a un uggiolare supplichevole.
Fu a quel punto che un'altra idea mi si affacciò alla mente. Ma certo, se Joshua fosse tornato a prendermi, se avesse portato degli aiuti, avrebbero usato i cani per orientarsi nella tormenta, per ritrovare la capanna.
Era un'idea così logica, così rassicurante, che non ci pensai due volte. Scattai in piedi e corsi ad aprire la porta, e quello che mi trovai di fronte mi fece tremare anche più delle raffiche di vento e neve che invasero la stanzetta della capanna, spegnendo le ultime fiammelle sulle braci.
Un lupo. E non un lupo qualsiasi, no, un lupo bianco, un enorme lupo bianco, il più maledettamente grande lupo che avessi mai visto o immaginato, più che altro, perché non ne avevo mai visti, non così, non così da vicino. Mi tirai indietro, verso la porta della stalla mentre quello si faceva largo a testa bassa nella stanza, un lieve ringhio nella gola. Riuscii ad aprire la porta della stalla e scorsi il cavallo che si impennava e batteva con gli zoccoli a terra alla vista della bestia, prima che questa scattasse in avanti, le fauci spalancate. Urlai e scivolai all'indietro, ma prima di cadere a terra in balia degli zoccoli del cavallo sentii come una mano afferrarmi il bavero della giacca, solo che non era una mano, erano i denti del lupo. Il suo fiato caldo mi soffiava sul collo. Poi il lupo iniziò a tirare, a strattonarmi verso la porta della capanna, ancora con quel ringhio leggero, senza mollare la presa. Dietro di me il cavallo faceva il diavolo a quattro, spaventato dall'enorme bestia, ma io non lo ero più.
Se mi avesse voluta morta sarebbe stato assai semplice azzannare più a fondo, affondarmi i denti nella gola. Anche in un secondo momento, con un secondo morso, se il primo aveva mancato la presa quando ero quasi caduta. Invece no, il lupo non aveva morso nella carne, si limitata a strattonarmi per la giacca, e se resistevo a quella che ormai ritenevo essere una bestia ammaestrata, era perché il gelo fuori dalla capanna non era meno letale di un lupo affamato. Non che fosse meglio dentro, da quando la porta era rimasta aperta e il vento aveva accumulato la neve sulla soglia e sollevato la cenere del caminetto, spargendola in giro, e raffreddato gli ultimi tizzoni neri e grinzosi.
Ma la mia era una resistenza impossibile perché quell'enorme lupo bianco era molto più forte di me, e forse ero già diventata matta a causa dell'isolamento e di quella tormenta che non era normale, troppo improvvisa, troppo lunga, e dell'assurdità di tutta quella situazione con il lupo, ma nel suo ringhio che non aveva mai smesso mi parve di udire a un certo punto una parola, una sola parola, "vieni!", un comando che non poteva venire da quella gola animale, forse dalla mia immaginazione, eppure bastò a fiaccare ogni traccia di resistenza, e mi arresi, e lasciai che la bestia mi portasse oltre la porta.
Appena fuori dalla capanna, il lupo si accucciò e accennò con il muso all'indietro. Non capii che volesse, ma poi sentii la casupola tremare, e un rombo che sovrastava il sibilo fischiante del vento, e senza pensarci troppo gli montai sulla groppa.
Il lupo partì come un lampo e dovetti aggrapparmi al suo collo per non cadere, e stringergli le gambe ai fianchi. Non sarei riuscita a stare a cavalcioni di un lupo normale, ma quella bestia candida come la neve era grande quasi quanto un cavallo, e quella considerazione mi fece pensare all'equino che mi ero lasciata indietro.
Mi girai ma non non riuscivo a vedere nulla nel turbinio di neve, né potevo udire il rumore dei suoi zoccoli, silenziosi sul candido manto a terra, ma lo sentii nitrire, e sembrava non molto distante da noi, più vicino rispetto alla capanna che ormai ci eravamo lasciati alle spalle, ma sempre, tra il vento, c'era quel rombo pesante, minaccioso, come il rotolare di un tuono nel cielo.
D'improvviso il lupo scartò di lato e si inerpicò su un pendio boscoso, e mentre salivamo vidi il cavallo passare, trottando a fatica nella neve alta, e il rombo di tuono esplose nelle mie orecchie mentre una massa bianca che sembrava bollire e rimescolarsi lo raggiunse e lo travolse, e mi parve così flebile a confronto l'ultimo nitrito di terrore dello sventurato equino.
Mi strinsi più forte al lupo che mi portò lontano dalla valanga, al sicuro tra gli alberi.
Dopo aver vagato a lungo nel bosco, il lupo si fermò e si liberò di me con uno scrollone nel punto in cui un terrapieno naturale e un intrico di radici d'albero scoperte formavano una specie di alcova riparata dal vento. Mi tirai indietro, nella parte più nascosta di quel riparo, timorosa della bestia che mi aveva salvato: era ancora in tempo per cambiare idea, e con la sua mole e le sue zanne rimaneva pur sempre una creatura spaventosa.
Il lupo si sdraiò a poca distanza da me, al riparo. Restò lì, tranquillo, e dopo avermi scrutato con quegli occhi azzurri, occhi che mi parvero quasi umani, girò il muso, lo posò a terra e chiuse gli occhi.
Io me ne restai in disparte, almeno all'inizio, tremando e strofinandomi le mani e il viso. Anche se la neve non mi raggiungeva lì dov'ero, era comunque freddo, e avevo le dita e il naso intirizziti, e presto sarebbe toccato anche ai piedi. Fu allora, quando cominciai a sentirli gelare, che mi decisi. Strisciai un po' più vicina al lupo. Quello non si mosse, non aprì nemmeno gli occhi.
Rassicurata, pensando che ormai la bestia dormiva, la raggiunsi e mi accoccolai accanto a lei, e affondai il viso e le mani nel suo pelo candido e caldo. Udii un sospiro sfuggire dalle fauci del lupo, quel sospiro che io non osavo emettere per timore di svegliarlo. Fu l'ultima cosa che udii prima di addormentarmi nel tepore del suo corpo.
Quando mi svegliai non sentivo più il suo pelo tra le dita, né il suo odore nelle narici, e per un momento pensai che fosse stato tutto un sogno. Ma ero fuori, rannicchiata tra le radici di un albero, e non sul pavimento della capanna, accanto al fuoco. Il sole scintillava sulla coltre di neve fresca, e quando uscii dal mio riparo, trovai Joshua che si stava abbottonando la giacca.
D'istinto, lo abbracciai. Non pensavo che lo avrei mai rivisto, anzi, non avevo più pensato a lui dalla precipitosa e assurda fuga della notte scorsa.
Joshua si lasciò stringere per qualche istante, poi mi allontanò con gentilezza e mi fissò con una tristezza e una serietà insolita nei suoi occhi azzurri. Era strano. Lui, tra noi, era quello sempre allegro.
– Mi dispiace di averti lasciato da sola la notte scorsa – iniziò lui, sedendosi su un vecchio tronco caduto, mezzo affondato nella neve. – Mi dispiace di averti mentito, ma non potevo dirti perché dovevo andare. Non mi avresti creduto.
Stavo per chiedergli su cosa mi aveva mentito, e che cosa non avrei creduto, ma mi trattenni. Lo osservai pettinarsi con le dita i ciuffi candidi, la sua chioma albina su cui tante volte lui aveva scherzato, e nel frattempo la mia mente lavorava frenetica a mettere insieme i pezzi di un puzzle impossibile, perché la figura che componeva era qualcosa di irreale, una superstizione. E Joshua era mio amico da troppo tempo per nascondermi qualcosa del genere, ma intanto mi facevo domande come se fosse stato possibile, e mi chiedevo: lo avevo mai visto in una notte di luna piena?
Ma fu lui stesso a darmi la risposta quando alzò gli occhi dalla neve bianca come i suoi capelli, bianca come il pelo del lupo enorme che mi aveva salvato, e disse: – Non volevo spaventarti. E di sicuro non sarei tornato indietro se non avessi sentito che stava accadendo qualcosa, su a monte, che la neve stava scivolando, e sarebbe venuta giù dritta sulla capanna, e io non potevo lasciarti là da sola, dovevo tirarti fuori di là, dovevo, e... beh, ora lo sai.
Joshua distolse gli occhi da me e sospirò. Io appoggiai una mano al tronco di un albero, mi sostenni contro un attacco di vertigini che mi lasciò la testa leggera e stordita, ma poi strinsi gli occhi e li riaprii e quello che avevo davanti era sempre Joshua, e sapevo che era mio amico, che non era cambiato.
Era lui, e mi aveva salvato la vita a costo di sacrificare il suo segreto.
Mi inginocchiai nella neve e lo abbracciai di nuovo, e tra i suoi capelli candidi gli bisbigliai all'orecchio tutta la mia gratitudine.

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