lunedì 5 dicembre 2022

Il furgoncino dei gelati


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Patrick Doyle da Pexels


Avrei dovuto capire fin dall'inizio che io non ero come gli altri.
I gelati, per esempio. Non ricordo di averne mai assaggiati, ma ogni volta che ci penso, provo un senso di repulsione così intenso che quasi mi fa venire la nausea. Probabilmente la mia prima madre affidataria mi forzò a provarne uno quando ero molto piccolo, magari senza nemmeno lasciare che si sciogliesse un poco.
Adesso che so perché è tanto importante per me evitare il freddo in ogni sua forma, riesco a immaginare che cosa dev'essere stato per il piccolo me ingoiare quel frammento di gelo mortale.
Gli altri bambini si impuntavano di fronte a un piatto di verdura. Io facevo i capricci quando, pensando di premiarmi, qualcuno mi offriva una pallina di gelato, o ancora peggio, una granita o un ghiacciolo.
Avevo nove o dieci anni quando capii che non sarei mai stato adottato da una vera famiglia, e chi decideva della mia vita mi piazzò nella prima delle case famiglia in cui sarei rimasto fino alla maggiore età. Era un bel cambiamento, perché finora ero sempre stato con famiglie affidatarie che abitavano in piccoli paesi e avevano altri due o tre bambini al massimo a cui badare.
La casa famiglia in cui mi misero a quel punto era in centro città, ed eravamo una decina, no, forse una dozzina di ragazzi e bambini di tutte le età. La coppia che la gestiva non era formata da cattive persone, per mia fortuna non mi sono mai trovato in brutte situazioni, ma con una truppa del genere a cui badare era ovvio che non potevano dedicarmi tutte le attenzioni che avevo avuto finora. Noi ragazzi eravamo un po' lasciati a noi stessi, con i più grandi che davano una mano a tenere in riga e badare ai più piccoli, ma per lo più stavamo fuori per strada buona parte del tempo, soprattutto d'estate.
In quel periodo il mio nemico più temuto, oltre all'enorme congelatore che stava in cantina, che però essendo fisso al suo posto non faceva così tanta paura, dicevo il mio nemico principale era il furgoncino dei gelati. Con quella sua musichetta inquietante lo si sentiva arrivare da lontano, e mentre gli altri bambini reagivano al trillo di quel carillon ossessivo con trepidazione e gridolini di gioia, io iniziavo a tremare.
Potevo essere magari tranquillo a dondolarmi su un'altalena, senza nessun pensiero al mondo, ed ecco che tra i cinguettii dei passeri e il viavai di qualche auto di passaggio si udiva, ancora distante e fievole, l'inconfondibile richiamo del mio nemico giurato. Il ruggito di un leone o il ringhio di una tigre non avrebbero potuto spaventarmi di più. Ed era inutile, per quanto cercassi di nasconderlo ai miei compagni di giochi, loro sapevano. Sapevano, e sapevano anche come approfittare di quel mio inspiegabile punto debole.
Uno dei ragazzi che abitavano alla casa famiglia, avrà avuto tredici anni ma sembrava molto più grande della sua età, era un vero asso nel comandare e farsi seguire dai più piccoli, e come se non bastasse, sembrava già ben avviato nella carriera da teppista. Aveva iniziato con i piccoli atti di ribellione di un ragazzino trascurato, forse anche maltrattato dalla famiglia di origine o da quelle affidatarie, e dai graffiti e dai furtarelli fatti per impulso del momento era ormai passato ai piani ben consegnati eseguiti con la complicità dei suoi compari, ovvero i più piccoli del gruppo.
Aveva notato quanto mi spaventasse il furgoncino dei gelati. E invece di prendermi in giro, come facevano tanti altri, quel mascalzone si era finto mio amico, mi aveva difeso, si era premurato di rassicurarmi in ogni occasione in cui sentivo la dannata musichetta del furgoncino dei gelati e iniziavo a tremare come una foglia.
E poi, un giorno, mi mise a parte del suo piano.
– Rubiamo la musichetta al gelataio – mi disse.
Come se il solo non sentirla più avrebbe potuto annullare tutta la mia paura. Non sapevo, allora, che ciò che mi spaventava era l'idea di essere portato via dall'uomo dei gelati e rinchiuso nella gelida grotta in cui immaginavo creasse le vaschette colorate con cui riempiva i coni, un posto che mi raffiguravo come un ampio spazio vuoto con un cilindro di metallo al centro, un po' come una gigantesca vasca per lo zucchero filato; idea che a sua volta doveva venirmi da quella prima traumatica esperienza con l'assaggio forzato di un gelato che adesso è la mia migliore ipotesi circa i miei traumi infantili.
Ad ogni modo, allora non mi rendevo conto che il vero problema nella mia vita era il freddo, e pensavo che zittire una volta per tutte quella musichetta fosse l'unica maniera per togliere potere alle mie paure, anche perché quel mio amico di un teppista mi aveva convinto che sarebbe andata esattamente così.
– È semplice – diceva lui. – Senza la sua musica, l'uomo dei gelati non può attirare i bambini, quindi smetterà di girare per le strade e tu sarai al sicuro per sempre.
Non avevo idea di quello che aveva davvero in mente, e che a lui non importasse niente di me e della mia paura. Quello che so è che aveva sottovalutato quella paura, perché al momento di mettere in atto il suo piano, io mi tirai indietro, rovinando i suoi progetti. Allora capii veramente chi avevo di fronte, perché a quel punto lui smise di fingersi mio amico e divenne il peggiore dei bulli. Non mi lasciò più in pace, iniziò a prendermi in giro più degli altri e a trascinarmi di peso verso il furgoncino dei gelati ogni volta che questo passava per strada. Si era perfino procurato da qualche parte un carillon con una musichetta simile, e con quello mi faceva saltare sulla sedia a ogni ora del giorno, e qualche volta mi svegliava di notte. Fu un incubo, ma avevo fatto bene a rifiutare di prendere parte al suo folle piano.
Prima della fine dell'estate un ragazzino più giovane di me che lui aveva convinto ad aiutarlo finì in ospedale con una gamba rotta e un paio di costole incrinate, e tutto perché quell'idiota voleva fregare al gelataio una delle grosse vasche di gelato che teneva nel furgone, altro che rubare la musichetta.
Non so dove sia finito quel teppista. Ma so dove sono io oggi.
E so che, adesso che mi hai aperto gli occhi e vedo chiaramente chi sono e che cosa può farmi del male e cosa no, nessun furgoncino dei gelati con la sua musichetta e nessun bullo con le sue manipolazioni possono più farmi paura.

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