giovedì 22 dicembre 2022

La catena di ferro


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Foto di Luděk Maděryč da Pexels


Per il resto del mondo, io ero morto. Ma là ritto in piedi sulle assi bagnate del ponte che gemevano e crepitavano la loro melodia lamentosa a ogni onda possente che investiva la nave gettandola su un fianco, battuto da una pioggia furiosa che tuttavia non riusciva a toccarmi, sotto nubi scure e basse squarciate da lampi violenti che lasciavano un'ombra nera negli occhi e l'eco di un'esplosione nelle orecchie, io mi sentii vivo come mai prima di allora.
Rivolsi un'occhiata sprezzante ai marinai della ciurma sconosciuta, aggrappati alle sartie o agli alberi di una nave che sventolava bandiera pirata. Uomini sconvolti, fradici, feriti. Tremanti di terrore se solo osavano guardarmi.
Li capivo, in fondo. Un tempo, io ero stato uno di loro. Non un pirata, no, ma un marinaio.
Lo ero stato, finché la strega del mare non aveva scelto me come ricompensa per i suoi servigi.
Quando aveva puntato il dito adunco nella mia direzione, avevo capito subito di essere spacciato. Il mio coltello non sarebbe servito a nulla contro la sua magia, e non avevo luogo dove fuggire nel ristretto spazio di una nave in mezzo al mare. Tuttavia mi voltai e corsi ugualmente lontano da lei. Era una debole speranza, uno stupido bluff, ma in cuor mio mi auguravo che se era stato il mio coraggio ad attirare la sua attenzione, ciò che appariva come un gesto pavido e inutile forse le avrebbe dimostrato che io non ero ciò che lei voleva. Ma la strega del mare non si lasciò ingannare.
Prima che me ne rendessi conto aveva già stretto il mio braccio in una morsa di ferro e mi trascinava con una forza inarrestabile oltre la murata della nave, incontro alle onde pronte a inghiottirmi.
Urlai. Il mare, quella massa liquida e mobile, mi colpì con tale violenza da stordirmi.
Le onde si abbattevano con un mugghiare feroce sulla tolda della nave pirata, ma io e la strega del mare avanzavamo fianco a fianco, intoccabili. Gli spruzzi salmastri crollavano a terra a pochi centimetri dai nostri corpi, come se un invisibile velo ci circondasse. Avremmo potuto lasciare che le onde e la pioggia ci bagnassero e non sarebbe successo nulla, ma lei mi aveva assicurato che un piccolo sfoggio del nostro potere prima ancora della piena manifestazione della magia sarebbe stato un utile promemoria di ciò che eravamo in grado di fare.
– Dimostrami che non ti ho insegnato invano – mormorò lei, la voce a malapena udibile tra gli scoppi di tuoni e l'ululato del vento, ma forte quanto la tempesta nella mia mente. Sollevò le braccia, e io la imitai in modo goffo, e sbirciai ogni suo gesto per essere sicuro di eseguirlo alla perfezione. Mi ero esercitato a lungo in vista di quel momento ma, in via ufficiale, quella era la mia prima volta.
Non appena iniziai, i piedi mi parvero inchiodati alle assi della nave, e gli scossoni violenti della chiglia che risaliva la cresta di un'onda per poi discendere di traverso non potevano smuovermi, ma altri non furono altrettanto fortunati. Con la coda dell'occhio scorsi un marinaio alla mia destra venire sbalzato fuoribordo, e udii il suo grido spegnersi in un tonfo liquido, mentre quanti gli stavano accanto si sporgevano inutilmente a cercarlo tra le onde livide, e un marinaio più sveglio degli altri provò a gettare una corda, che il disperso non riuscì ad afferrare.
Chissà se qualcuno aveva provato a cercare con gli occhi me quando la strega del mare mi aveva rapito, se aveva provato a lanciarmi una cima per salvarmi. Non lo so, ma ne dubito.
Quando mi ripresi lei mi tratteneva ancora per il braccio, e mi trascinava a nuoto nelle profondità dell'oceano. Sfrecciavamo rapidi oltre banchi di pesci dai riflessi d'argento, oltre i relitti di vascelli dalla chiglia sventrata e dagli alberi spezzati, oltre giardini d'alghe e di coralli. Cercai di trattenere il più a lungo possibile il respiro con la sua risata nelle orecchie, quello stesso fastidioso acciottolio di conchiglie trascinate sui fondali che avevo udito a bordo della nave. Al limite della mia resistenza serrai le labbra e mi tappai la bocca con la mano libera mentre il mio corpo veniva scosso da ondate di sforzi provenienti dal mio petto, un parossismo convulso come di vomito al contrario, la foga di inghiottire. Aria, acqua, era lo stesso. Contro la mia volontà presi un respiro profondo e un fiume salato mi fluì in gola e mi inondò i polmoni, ma quando mi riempì scoprii che riuscivo a respirare, non stavo affogando, respiravo acqua. Lei mi rivolse un'occhiata divertita e compresi che era la sua magia a permettermelo, ma la odiai perché invece di avvertirmi, di rassicurarmi in qualche modo, lei si era limitata a ridere di me.
Era diversa rispetto a come mi era apparsa sulla nave. Lo notai solo quando la mia sopravvivenza cessò di essere la più immediata e principale preoccupazione. Alghe verdi, rosse e brune avevano sostituito la chioma bionda, i suoi occhi sembravano più grandi e profondi, il naso appiattito lasciava intravedere solo le narici chiuse a tratti da una membrana, la pelle rispecchiava i riflessi iridescenti delle squame dei pesci, una mano palmata era stretta sul mio braccio, e le sue gambe... le sue gambe erano scomparse, lasciando al loro posto una coda di pesce con pinne dalle punte aguzze, simili a quelle di un tonno, lungo i fianchi e al termine della coda.
L'acqua si fece più scura e poi, d'improvviso, lei mi scaraventò fuori, sul pavimento di pietra di una grotta marina. Rotolai, tossii e sputai l'acqua che avevo nei polmoni, e tornai a respirare aria appena in tempo per vederla emergere dalle acque, salendo una serie di gradini naturali. Era di nuovo umana, per quanto si potesse dire di lei che fosse umana.
Mi massaggiai il fianco, un livido in più oltre a quelli che mi aveva lasciato la tempesta nel suo sbatacchiarmi qua e là sulla nave come una bambola di pezza tra le mani di un marmocchio dispettoso. La fissai dal basso con astio e le rivolsi la domanda che più volte mi ero posto mentre mi trascinava per quello che mi era parso mezzo oceano. – Perché non mi hai ucciso subito, perché portarmi qui? Perché non lo hai fatto là, sulla nave?
Lei si avvicinò oltrepassando una serie di raggi di luce che piovevano dai fori sulla volta della caverna. Arricciò un angolo delle labbra e replicò: – Se avessi voluto un cadavere, credi che mi sarebbe importato qualcosa della sua indole?
Sapere che non mi voleva morto non fu un sollievo, perché intuivo che c'erano fati peggiori della morte che lei aveva il potere di riservarmi. La strega del mare mi fece un cenno e si incamminò oltre colonne di stalagmiti con passi lenti e solenni, deliberati in quella sua bizzarra camminata sbilenca e zoppicane, che ancora una volta mi rammentò quanto poco dovesse essere avvezza a muoversi sulla terraferma. Mi rimisi in piedi a fatica, e irresistibilmente attratto come da una malia, le andai dietro.
La grotta non era una caverna sommersa, né uno scoglio isolato in mezzo al mare come avevo creduto in un primo momento. Quando uscimmo alla luce del sole mi ritrovai in una giungla lussureggiante, con felci alte fino al ginocchio e un tetto verde di palme e ficus e banani sopra la testa, e mangrovie in direzione della costa da cui udivo provenire il ritmico fragore delle onde sulla battigia. Macchie variopinte di orchidee, fiori di ibisco, frangipane e bouganville spezzavano i toni del verde, e un profumo dolce di fiori e di frutta matura si mescolava alla brezza salmastra.
Capii subito che quella su cui mi aveva portato la strega del mare era un'isola, ed era un'isola su cui gli esseri umani non avevano mai messo piede.
– Sono tuo prigioniero? – le chiesi bruscamente, arrestando i miei passi.
Lei si fermò, si voltò e mi squadrò da capo a piedi. Si prese tutto il tempo per tornare al mio volto, prima di rispondere: – Finché ti riterrai tale, sì.
Da quel giorno ero rimasto sull'isola per diversi mesi. Lei, invece, non trascorreva molto tempo sulla terraferma. Spariva per giornate intere, anche per più giorni di seguito, e ogni volta che se ne andava si curava di impormi un compito ripetitivo e noioso, come imparare a memoria le parole di una pergamena, disfare un intreccio di fili ingarbugliati senza spezzarli, o nuotare verso il fondo in uno dei punti attorno all'isola dove il mare era più profondo, per raccogliere un oggetto che lei vi aveva lasciato cadere, senza l'ausilio della sua magia che mi consentiva di respirare l'acqua.
Quando tornava, di sera, attorno a un fuoco, mi chiedeva di darle una prova dei miei progressi. Ripetere a memoria le parole o mostrarle i fili che avevo sciolto o l'oggetto recuperato. Non avevo idea di quale scopo avessero quelle prove bizzarre.
Adesso lo sapevo. Lo sapevo perché sul ponte di quella nave flagellata dalla tempesta le parole mi fluivano dalle labbra in un canto estatico senza nemmeno doverle pensare, lo specchio delle parole che lei cantava al mio fianco, e una densa nebbia dai vapori arcobaleno esalava dalla mia pelle e turbinava rivelandomi i fili della realtà, e le mie dita lavoravano svelte a sbrogliarli, a tenderli da una parte e allentarli dall'altra, e intanto cantavo alle onde, e cantavo al cielo e alla pioggia, e sentivo la tempesta dentro di me, la scarica di potere dei fulmini che mi esaltava correndo dal petto alle dita, e sentivo me dentro di loro, ero in ogni onda che percuoteva lo scafo, in ogni raffica di vento sulle vele imbrogliate, in ogni goccia di pioggia che cadeva sul cassero sul ponte e sui marinai, e li vedevo senza guardarli, le sagome fradice d'acqua salmastra che resistevano al vento così chiare ai miei sensi, e capivo adesso come lei avesse compreso che cosa avessi inteso fare quella volta, come avesse percepito la mia mano sul manico del coltello, il mio corpo teso nello sforzo di strisciare verso di lei. Che sciocco ero stato.
Non avrei mai potuto avvicinarla di soppiatto.
Ero stato un folle temerario anche solo a pensare di poterci riuscire.
Come lo ero stato a provare a fuggire dall'isola, all'inizio. Dopo le prime volte, quando avevo capito che lei mi lasciava da solo e senza sorveglianza per lunghi periodi di tempo, avevo provato a costruire una zattera dopo l'altra, ma non ero mai andato molto lontano. Quando alla fine lei giungeva a recuperarmi, il suo pareva più un salvataggio che l'inseguimento di un fuggitivo, anche se il mio orgoglio mi impediva di ammetterlo.
La strega del mare era diversa da come mi ero aspettato. Non mi puniva mai dopo i tentativi di fuga, e in questo devo ammettere che con me ebbe una notevole dose di pazienza. Con il tempo, forse per la familiarità che cresceva a ogni interrogatorio attorno al fuoco, o forse perché a ben riflettere a parte trattenermi lì e tediarmi con quelle incombenze noiose lei non mi aveva fatto alcun male, il velo di terrore che mi era preso nel guardarla tessere i suoi incantesimi sulla nave si dissolse, e ciò che ne rimase era una bella donna, dal fascino selvaggio ed esotico. Fu in una di quelle serate attorno al fuoco che avvenne, non ricordo di che cosa stavamo parlando, ormai non si trattava più solo di prove ed esami, ma lei mi guardò negli occhi e mi disse: – Sei pronto, – e... si protese a baciarmi.
Ricambiai il suo bacio con una passione famelica, come non avessi mai baciato altra donna prima di allora, e avvertii una scossa percorrermi le membra, farmi pizzicare la punta delle dita e rizzare i peli in tutto il corpo. Non era elettricità, era... potere. Lo stesso potere che avvertivo sulla nave pirata mentre come in apnea cantavo la melodia delle onde che si placavano, pizzicavo i fili che disperdevano le nuvole e intimavo al vento di rallentare la sua folle corsa. E le onde si placarono, la pioggia cessò di percuotere il mare, la nave e i marinai, le nuvole si lacerarono rivelando il cielo azzurro e alla fine si dissiparono, e il vento mutò in bonaccia.
Anche la nebbia della nostra magia si dissolse e le nostre labbra restarono mute. Sbirciai la strega del mare con una domanda che non osavo formulare, ma lei comprese e mi rivolse un cenno che era la sua risposta. Sorrisi dimostrando tutta la soddisfazione che lei tratteneva.
Avevo agito bene.
La strega del mare si voltò e parlò al capo di quella ciurma stremata, ma con ancora sufficiente forza in corpo per festeggiare con pacche sulle spalle e grida di giubilo.
– Ho placato la tempesta e salvato la vostra nave, capitano, e... quasi tutti i vostri uomini. – Il tono di scherno nella sua voce e il suo sorriso beffardo non mi piacquero affatto. Io la conoscevo e sapevo che non era crudele come fingeva di essere, ma c'era da supporre che avesse una reputazione da difendere. "Meglio essere fraintesi che vulnerabili", mi aveva detto una volta. – Non è colpa mia se ingaggiate mozzi incapaci di restare con i piedi sul ponte al primo accenno di mare mosso. Dunque, come stabilito dal nostro contratto, posso scegliere il tesoro più prezioso tra quelli custoditi nella vostra nave.
Il capitano, un uomo dalla barba ispida e la faccia bonaria, si piazzò di fronte alla strega, a qualche metro di distanza giusto per essere prudente, sogghignò e disse: – Sicuro, è così che abbiamo deciso. Voi potete avere la vostra ricompensa. Ma vedete, signora, in realtà... prima, devo onorare un contratto precedente.
Il capitano fischiò e al suo ordine i marinai ancora fradici e intirizziti scattarono a tirare una coppia di funi che strinsero attorno a noi un anello di catene, identiche a quelle che si usavano a bordo della nave per trattenere l'ancora.
Ferro. Eravamo all'interno di un cerchio tracciato da una catena di ferro.
Il capitano ghignava, sicuro di averci preso in trappola.
Esistono diverse false credenze sulle streghe. Che siano tutte malvagie e che i loro servigi richiedano sempre un prezzo troppo alto, per esempio.
Io non credevo più che lei fosse una creatura del male, e dopo quel bacio non ebbi più alcun motivo di lamentarmi di essere stato il prezzo pagato per un suo intervento.
– Ti faccio dono del mio potere e della mia natura – mi aveva detto la strega del mare, spiegandomi ciò che era appena avvenuto tra noi. – Tutto ciò che è mio ora ti appartiene. Siamo eguali, legati per la vita.
La rivelazione di essere diventato uno stregone del mare o qualcosa di simile con un semplice bacio mi lasciò stranamente indifferente. Non ci pensai più di qualche istante. Quello che mi occupava la testa era che non riuscivo proprio a smettere di guardarla. Mi sentivo bene. Mi sentivo felice. Non ero più un prigioniero e l'isola non era più una prigione.
Ero a casa.
– Il mio nome è Emérys – aggiunse lei, accarezzandomi il volto.
Non avevo mai pensato che potesse chiamarsi in altro modo che la strega del mare.
– Piacere di conoscerti, Emérys. Io sono...
Lei mi pose un dito sulle labbra.
– Conosco il tuo nome – disse, e mi abbracciò e ci sdraiammo sulla spiaggia, accanto al fuoco, in quella che fu solo la prima di una lunga serie di notti roventi.
Quindi io so per certo che tante credenze a proposito delle streghe sono false. So che nelle campagne appendono alle porte di casa vecchi ferri di cavallo perché pensano che questo metallo, il ferro, abbia il potere di trattenere le streghe, impedendo loro di entrare nelle case protette da un simile amuleto. Ma un ferro di cavallo non aveva mai fermato una strega, così come una catena di ferro non poteva intrappolare noi.
Gorgogliai una risata e feci per avanzare e dimostrare a quello sciocco capitano quanto si sbagliava a credere di averci in pugno, ma prima che potessi oltrepassare la catena, Emérys mi sbarrò il passo con un braccio.
– Molto intelligente, capitano – disse lei col consueto sarcasmo. – Mi complimento con voi, mi avete catturato. E per chi avete compiuto questa nobile impresa, di grazia?
Solo in quel momento mi resi conto che quella su cui ci trovavamo non era una nave pirata, che andava indiscriminatamente all'arrembaggio di qualunque vascello arrecasse un bottino, bensì una nave corsara, incaricata dal re ad attaccare e saccheggiare navi nemiche, a compiere razzie sulle coste nemiche. E i nemici, in quel caso, eravamo noi.
Il capitano si voltò verso il castello di poppa e sbraitò un ordine: – Fate venire i nostri ospiti!
Due marinai scattarono e sparirono all'interno della nave, accompagnati da tutta l'invidia di quelli che erano rimasti. Li vedevo, che fremevano e distoglievano gli occhi per non incrociare il mio sguardo. Anche se pensavano di averci fatti prigionieri, nessuno di loro si sentiva a suo agio a pochi passi da due creature in grado di comandare i venti e i flutti, di scatenare la tempesta o di placarla.
La porta sul cassero si aprì e ne uscirono due persone e io mi accorsi che le conoscevo entrambe. Uno di loro era Gareth, il mio migliore amico, marinaio come me. Eravamo sulla stessa nave quando la strega del mare mi aveva rapito, ma aveva avuto troppa paura per fare qualcosa. L'altro, armato di una spingarda puntata contro la strega del mare, era mio padre.
Dalle loro reazioni fu subito chiaro che nessuno dei due si aspettava di vedermi.
Gareth tremò e rise e scosse la testa, incredulo e felice. Mio padre abbassò titubante la spingarda e balbettò: – Figliolo... tu... tu sei vivo! N-non sei un'illusione, sei vivo, sei proprio tu?
Non feci in tempo a confermargli la bella notizia che Gareth esclamò: – Non ci credo, la nostra missione di vendetta si è appena trasformata in una missione di salvataggio! Questo è... è fenomenale! Amico, come hai fatto? Ti davamo tutti per spacciato!
Risi assieme a lui, ma poi mio padre disse: – Malina ti ha pianto, figliolo, in una tomba dalla bara vuota... ma adesso potrà piangere di gioia. Tornerai a casa e voi due potrete sposarvi.
Malina, la mia promessa. L'avevo dimenticata. D'altra parte quasi non la conoscevo, il nostro sarebbe stato un matrimonio di convenienza per dare a lei una rendita e a me una famiglia.
– Non posso, padre. – Mi affiancai a Emérys e le afferrai una mano. – Non sarebbe corretto. Io ho già una moglie.
– Quella... quel mostro? – Il disprezzo nella sua voce era tangibile quanto lo schiaffo di un'onda nel mare in tempesta. Sollevò la spingarda e la puntò contro la strega del mare. – Non importa. È un ostacolo che si può rimuovere in fretta.
– No! – urlai e mi frapposi tra di loro, le braccia allargate. – Siamo legati per la vita. Se la uccidete, padre, uccidete me. Anche se non mi colpite direttamente. Quindi, tanto vale...
– Spostati! – urlò mio padre. – Spostati, dannato, sei sotto la sua maligna influenza, ma io ti libererò fosse l'ultima cosa che faccio, io ti libererò anche se volesse dire vederti morto, io ti li...
La sua voce si smorzò in un mormorio farfugliante, e la mano con cui reggeva la spingarda tremò con violenza. Capii cosa stava accadendo quando molti tra i marinai si fecero indietro, e quelli che erano più vicini al mio vecchio genitore si scostarono da lui. Emérys.
Mi girai e le afferrai le mani, intente a danzare nell'aria tra la nebbia cangiante, a tirare i fili della realtà mentre intonava un canto sottovoce.
– Non farlo – le dissi, e lei mi diede retta. Con un gorgoglio di gola che rassomigliava tanto all'eco di un tuono lontano, e che rese perfettamente l'idea di quanto di malavoglia avesse acconsentito a risparmiarlo, la strega del mare richiamò il suo incantesimo e la nebbia scomparve.
La tensione, tra noi che eravamo nel cerchio tracciato dalla catena e coloro che ne erano fuori, rimase.
Fu a quel punto che Gareth fischiò e mi disse, allegro: – Quindi lei ti piace davvero!
Benedetto Gareth, aveva sempre avuto un tempismo perfetto. Annuii e confermai con convinzione: – Sì.
– Sai, amico, non avrei mai immaginato che qualcuno potesse mettersi con la strega del mare. Sposarla, addirittura. Ma, oh, beh... – Gareth fece spallucce. – I gusti son gusti.
Non avevo notato quanto Gareth, mentre parlavamo, si fosse avvicinato all'albero al quale era assicurata una delle funi con cui i marinai avevano manovrato la catena. Nessuno lo aveva notato.
Gareth afferrò la fune e diede un forte strattone, che spostò la catena quel tanto che bastava da spezzare il cerchio. – Ops! – disse, prima che un marinaio lo colpisse in pieno stomaco e altri, presi dal terrore, si affrettassero a cercare di richiudere quella che consideravano la nostra prigione.
Non avrebbero mai saputo che ce l'avevano fatta, che avevano ripristinato l'anello di catene di ferro, perché io e la strega del mare nel frattempo ci muovemmo svelti e nell'oltrepassare la catena la trascinammo un po' con i piedi in modo da dare l'illusione che fosse stata quella piccola apertura, mai richiusa, a consentirci la fuga dal cerchio del fatale metallo.
Io balzai sulla murata alla mia destra ma Emérys non era al mio fianco, e quando mi volsi, la vidi con una mano stretta alla gola di mio padre, intrappolato tra lei e l'albero maestro. Nessuno dei marinai osò fare nulla, nemmeno Gareth, che adesso fissava la strega del mare con occhi sbarrati, inorridito da ciò che aveva fatto. Si era pentito di averla liberata.
Urlai il suo nome nella mia testa, Emérys, e poi: – Non farlo!
Lei sbatté la testa dell'uomo contro il legno dell'albero, più per frustrazione che per un reale desiderio di fargli del male, poi allentò la presa e gli disse: – Ascoltami, vecchio, e ascoltami bene. Due volte tuo figlio ti ha salvato la vita in questo breve lasso di tempo. E ora rifletti su chi sia davvero il mostro, se chi pur detenendo un grande potere e tutto il diritto di difendersi risparmia la vita di colui che ha minacciato la sua, o chi per eliminare colui che reputa suo nemico non si cura di sacrificare un figlio.
Emérys lo lasciò e mi raggiunse sulla murata, e prima di tuffarmi con lei mi voltai indietro, verso Gareth. Vidi la sua espressione sollevata. Mi sorrise, anche se meno allegramente di prima, e ci scambiammo un cenno. Non era più pentito di averci lasciato andare. Era già qualcosa.
Quando ci fummo allontanati a sufficienza dalla nave corsara, emergemmo con la testa dalle onde e fissammo assieme lo scafo, reso piccolo come un guscio di noce dalla distanza.
– Mi dispiace – le dissi, inspirando con un sibilo l'aria da un naso piatto e con le narici protette da membrane. – Per colpa mia, non sei stata pagata. Tutta quella fatica per far cessare una tempesta, e alla fine, niente tesoro.
Lei scosse la testa e le alghe che le facevano da chioma danzarono in acqua nella parte che era sommersa, e mi spruzzarono di goccioline salmastre dalla sua fronte e dalle tempie. – Non hai motivo di dispiacerti, ciò che dici non corrisponde a verità. Ho chiesto il tesoro più prezioso tra quanto vi era sulla nave, e quel tesoro... – Emérys si voltò a guardarmi con occhi lucenti di mare, profondi, e mutevoli come la tempesta. – ...quel tesoro è qui al mio fianco.

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