giovedì 8 dicembre 2022

Operazioni


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Karolina Grabowska da Pexels


Attorno a me è il caos ma io non lo sento. Continuo a fissare la crocetta nella finestrella dello stick, a dispetto dei bip dei macchinari nel vano sanitario dell'ambulanza e delle sirene assordanti all'esterno. Uno di loro, il soccorritore o l'infermiere, non so più distinguerli ormai per la confusione che mi annebbia la mente, mi fa una domanda e quasi non la sento, e quando mi scuotono e sobbalzo sono costretti a ripetere in tono brusco, con impazienza.
Non posso biasimarli. In fondo, se mi hanno fatto salire è stato solo per rispondere alle domande a cui lei non può dare risposta. Lynn non si è ancora ripresa, e mi spaventano tutti quegli aghi e gli elettrodi che le hanno piazzato addosso, mi spaventa il suo pallore e ogni irregolarità nel ritmo ormai familiare della sequenza di bip del suo cuore, e mi spaventa l'odore pungente dei medicinali, l'aria densa e soffocante di quest'atmosfera asettica. Ma più di ogni altra cosa mi spaventa quella crocetta, quel piccolo più simbolo di un'addizione impossibile.
La folle corsa prosegue, e di tanto in tanto sbircio i due occupanti dell'ambulanza affaccendati attorno alla barella, impegnati a mantenere stabile Lynn, mia moglie, sdraiata sul lettino. Ho detto loro tutto quello che potevo, le medicine che prende, le sue condizioni di salute, il gruppo sanguigno, ho persino rivelato loro l'impossibile risultato del test che ancora stringo tra le mani, ma c'è qualcos'altro che non posso dire. Fatico a crederlo anch'io perché non è una semplice somma algebrica, non è uno più uno che diventa tre, questo succede in una famiglia normale, in una famiglia in cui tutti sono... uguali. Ma nel nostro caso, mio e di Lynn, sarebbe come sommare due cose diverse, incompatibili, come sommare mele e stelle, come sommare un numero e una lettera. Una lettera che è un'incognita irrisolvibile.
A Lynn avevo detto di essere sterile, ma non era la verità. Sapevo quanto voleva dei bambini, perciò glielo avevo detto, l'avevo avvertita che con me non sarebbe stato possibile. Mentre la guardo, stesa sulla barella, il respiro in affanno che appanna la maschera trasparente del ventilatore polmonare, mi sovviene che forse Lynn lo desiderava così tanto da spingerla a tradirmi. Sarebbe la soluzione più semplice di questo mistero, nessuna addizione impossibile, solo un altro addendo, una cifra normale, una cifra qualunque, al posto dell'incognita. Ecco perché era stata tanto restia a mostrarmi l'esito di quel test prima di crollare a terra e della frenesia che ne era seguita, perché a quel punto avrebbe dovuto confessare. Vorrei tanto che si svegliasse, vorrei tanto poterglielo chiedere. Ma il bip aumenta di volume e dopo un paio di balzi irregolari si prolunga, e uno dei suoi due angeli custodi inizia un massaggio cardiaco mentre l'altro si gira e parte alla ricerca disperata di qualcosa tra l'attrezzatura stipata negli armadietti allineati sulla fiancata. Mi alzo dal mio sedile in fondo, reggendomi al maniglione sullo schienale.
– Posso...?
Quello dei due che è impegnato nella ricerca non mi lascia finire e mi apostrofa in tono duro: – Seduto! E zitto, ci lasci lavorare.
Chino la testa e mi risiedo. Stringo forte tra le mani lo stick con quel più che rischia da un momento all'altro di diventare un meno. Nessuno dovrebbe piangere lacrime disperate con quella notizia in mano. Nessuno.
Nel frattempo l'uomo ha trovato quello che cercava, una fialetta e una siringa, strappa rapido la confezione, la riempie, e inietta un liquido trasparente direttamente nel torace di Lynn. Nel cuore, credo. L'altro sta per riprendere il massaggio cardiaco quando il bip continuo che urla nelle mie orecchie più forte della sirena e del rombo del motore che ci trasporta con inevitabili scossoni si interrompe. Silenzio per un momento interminabile. E poi riprende. Il ritmo che avevo imparato a riconoscere e che avevo quasi dimenticato nella gravità di quel suono continuo riprende, e potrei giurare che il mio non è stato l'unico sospiro di sollievo a levarsi nell'affollato abitacolo.
– State pronti, siamo quasi arrivati – fa uno dei due, includendo finalmente anche me, come se fossi diventato dopo quella tragedia evitata un membro indispensabile della squadra.
E allora vorrei dirglielo, vorrei tanto dire loro quale penso che sia il problema, perché anche se mi sono illuso per un momento che Lynn mi abbia tradito, che non sia io il responsabile del suo malore, in realtà non lo credo davvero possibile.
È mia la colpa. Del nostro bambino, una creatura del tutto nuova frutto di una moltiplicazione inaspettata, di quel più inclinato di lato fino a diventare un per. Lynn per me uguale a... non so cosa. Nessuno lo può sapere, perché anche se posso sembrare uguale a tutti loro il numero dei miei cromosomi è diverso, le basi della mia sequenza genetica sono diverse, la mia tripla elica non si può combinare con la doppia elica di un DNA umano. Questo era ciò che avevo sempre creduto.
Una moltiplicazione impossibile era ciò che probabilmente stava uccidendo Lynn.
L'ambulanza si ferma, le porte si aprono, i due, infermiere e soccorritore, fanno scendere la barella. Scendo dietro a loro ma un'altra figura in arancione mi ferma. La vedo correre avanti, spinta e accompagnata dagli altri due, finché sparisce oltre le porte del pronto soccorso.
Non posso seguirla. Non mi lasciano farlo. E allora prego, per la prima volta nella mia vita prego su quello stick del test di gravidanza positivo che è tutto ciò che mi resta di lei che l'ultima operazione che ci coinvolge entrambi non sia una divisione.

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