lunedì 19 dicembre 2022

Trappola nel vuoto


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di David Yu da Pexels


Nessuno era più salito a bordo della RV Oceanic Explorer negli ultimi cinque anni. Eppure, quando il primo gruppo autorizzato alla ricognizione della nave perduta si avvicinò a quel colosso impantanato in un mare denso e lattiginoso con la loro minuscola day cruiser, di anni pareva che ne fossero passati almeno 50. Per quanto ne potevano vedere dal basso, le lastre di metallo apparivano corrose dalla ruggine e incrostate da mitili e da altri residui di fauna e flora marina, del tipo che ci si sarebbe aspettati di trovare sul relitto di una nave affondata, non aggrappati sopra la linea di galleggiamento di una che ancora funzionava, per quanto dirlo di quella nave fosse un azzardo. Stava a galla, quantomeno.
– Log 1.31.4 – annunciò la dottoressa Candice Reginald, capo della spedizione, parlando nell'elaboratore da polso. – Abbiamo raggiunto il punto X. Come previsto dalle scansioni, la nave scientifica Oceanic Explorer sembra essere intatta, ma priva di segni di attività umana a bordo. L'anomalia come ipotizzato non è più confinata all'interno della nave, sebbene l'espansione segua un ritmo più lento rispetto all'incidente 649 avvenuto 15 anni fa ai laboratori New Horizon, località secretata. L'aspetto esteriore della nave...
Vera sbuffò, e si chiese ancora una volta chi glielo aveva fatto fare. Non che avesse avuto scelta. Si era trovata in una posizione piuttosto scomoda dopo che l'avevano beccata ad allontanarsi dal sito B, nel quale era penetrata violando ogni sistema di sicurezza dei nuovi e migliorati laboratori New Horizon. I primi, gli originali, erano scomparsi nell'implosione che il dottor Eastfield aveva innescato per annullare la distorsione dimensionale, e Vera non aveva potuto far altro che esultare alla notizia. Ma poi aveva fatto quella cazzata, e si era trovata in una posizione ricattabile. Altrimenti Vera non si sarebbe mai infilata spontaneamente in un casino simile, non dopo essere uscita viva per miracolo dall'ultimo, ma quei quattro erano fortunati che insieme a loro ci fosse anche lei.
Di tutto il gruppo, lei era l'unica che si fosse mai trovata in uno spazio chiuso deformato da una distorsione dimensionale, ed era l'unica che sembrava consapevole che non si trattava di una passeggiata. Insomma, non vedevano lo spazio vuoto che sembrava annullare in un grigiore uniforme mare e cielo? Non era nebbia, era un'inesistenza impossibile, un'irrealtà concreta, nella quale la RV Oceanic Explorer e il loro piccolo day cruiser e loro stessi galleggiavano ed erano allo stesso tempo immersi. Ma gli altri si comportavano come se fosse tutto normale.
L'assistente di Candice Reginald, un ragazzotto imberbe di nome Josh Trevalice, scherzava e rideva allegramente con quello che era stato definito dalla dottoressa Reginald come "il progettista". Mark Sadar, responsabile dell'adattamento della nave al fine di ospitare l'esperimento di replica in ambiente controllato degli effetti dell'incidente 649, era un tizio logorroico, di mezza età, con una parlantina veloce e gesti scattanti, quasi come se il suo cervello andasse troppo veloce per il resto del corpo.
Sarebbe dovuto far parte dell'equipe che conduceva gli esperimenti, se nel periodo della partenza la sua città non fosse stata messa in quarantena per un attacco dei Warrs.
L'ultimo membro dell'equipaggio del piccolo day cruiser, che affiancato allo scafo della RV Oceanic Explorer faceva la stessa figura di un neo sulla faccia di una vecchia signora, era quello che sarebbe dovuto passare per la loro scorta armata.
Non c'era alcun dubbio che fosse ben addestrato e avesse un equipaggiamento militare di prim'ordine, ma quello che spaventava Vera era la sua esagerata sicurezza, la sua faccia quasi da spaccone, che sarebbe crollata, immaginava, di fronte alla prima anomalia dimensionale che si fosse trovato ad affrontare. Persino tutta la conoscenza del progettista si sarebbe rivelata inutile di fronte alla una realtà irreale, in continuo mutamento, che deformava ogni spazio in una parodia orribile di ciò che era stato prima.
– ...ci prepariamo a perlustrare la nave. Il prossimo log verrà effettuato dal ponte laboratorio 1, se sicuro. Fine registrazione – concluse la dottoressa Reginald, e toccò lo schermo dell'elaboratore. Si rivolse al suo assistente e al dottor Sadar, che una volta ancorato il day cruiser allo scafo della nave più grande avevano fatto un cenno alla loro guardia armata, il tenente J. Da quanto il tenente J. aveva detto non dovevano sapere altro di lui, nemmeno il nome, a parte il conto dei Warrs che aveva ucciso, e che secondo lui era la garanzia della sua competenza: 16.
Vera non gli disse che lei lo superava di una ventina, anche se forse avrebbe dovuto, tanto per rimetterlo al suo posto. Ma Vera era consapevole che il suo successo derivava in parte dalla fortuna, quando era riuscita a prendere in trappola un gruppo numeroso e farli fuori tutti assieme, e in parte al fatto che lei era stata creata apposta per eliminare la minaccia dei Warrs, anche se nella prima distorsione dimensionale in cui si era trovata aveva perso il principale dei suoi vantaggi contro di loro. In compenso, però, aveva guadagnato un alleato e un'abilità dal valore incalcolabile nella situazione che stava per affrontare.
– Entriamo – disse J, e sparò verso la sommità della murata l'arpione uncinato con la corda autoavvolgente che sarebbe stato la loro porta di accesso.

All'interno dello scafo di metallo, il rumore era inquietante. Era uno stridore di metallo contorto, un graffiare di lamiere divelte, un clangore di lastre di ferro sbattute l'una contro l'altra. L'impressione era quella di una mano gigantesca che stringesse nelle sue grinfie i corridoi della nave, deformandoli con la sua pressione, e Vera sapeva che quell'immagine non era tanto distante dal vero.
– Che cos'è quest'odore schifoso? – chiese Josh Trevalice, che non rideva più così tanto. – Sembra quello dei bagni dell'università dopo che quelli dell'ultimo anno ci hanno fumato...
– Io e Josh andremo al ponte laboratorio 1 – lo interruppe la dottoressa Reginald. – Sadar, Vera, tenente... a voi recuperare la scatola nera in plancia di comando. Vediamo di capire che cosa esattamente è andato storto qui.
– Con tutto il dovuto rispetto, dottoressa, ma i miei ordini sono di restarle incollato. Dove va lei, vado io.
– Non ci divideremo – disse Vera in tono perentorio, smorzando ogni altra protesta. – Credetemi, sarebbe la decisione più stupida in una situazione del genere.
Candice Reginald fece una smorfia contrariata, ma alla fine concesse. – E va bene. Tutti assieme al ponte laboratorio 1, e poi tutti assieme a recuperare la scatola nera. E tanti saluti al dentro e fuori il più in fretta possibile.
Mark Sandar e Vera furono incaricati di guidare il gruppo lungo un percorso sicuro nel dedalo di corridoi in parte mutati o resi inagibili dalla distorsione dimensionale. Sadar era una mappa vivente del posto, e non esitava a vantarsene a gran voce a ogni suo passo, ma ogni tanto un'alterazione rispetto alla planimetria che lui rammentava lo costringeva a rivolgere a Vera una domanda formulata con un eccesso di parole, a cui lei rispondeva con un semplice gesto della mano per indicare la direzione; in altre occasioni invece Vera aveva bloccato il cammino del progettista, e chiesto un'alternativa alla via più diretta, spiegando soltanto che "andare avanti non era sicuro". Gli altri non ne erano felici, ma per fortuna si fidavano abbastanza della sua esperienza per accettare il suo giudizio.
Vera preferiva non dire nulla del passeggero che si portava dietro dalla sua precedente disavventura in una distorsione dimensionale. Le era capitato di scorgere creature spaventose, dalle forme incomprensibili e dalle intenzioni chiaramente ostili. Ma l'essere liquido che aveva preso rifugio in lei senza nemmeno chiederle il permesso, per fortuna, si era rivelato innocuo. Vera lo sentiva appena, qualche volta, come una carezza alla base del suo cranio, o come l'agitarsi di un pesciolino tra le sue viscere. Solo da quando si era avvicinata alla nave, e ancora di più da quando vi era entrata, la presenza dell'essere si era fatta più forte, spingendo alla base del collo ogni volta che si avvicinavano a un'area pesantemente deformata da una distorsione dimensionale.
E così, grazie al suo passeggero segreto, Vera riuscì a portare il gruppo sano e salvo fino al ponte laboratorio 1, un'ampia sala nel cuore della nave dalle pareti ingombre di elaboratori e strumenti scientifici, mentre nel mezzo si allineavano una fila di teche di vetro che racchiudevano una nebbiolina biancastra.
– Non sono esplose – mormorò con meraviglia la dottoressa Reginald, aggirandosi tra loro. – La distorsione creata artificialmente non ha oltrepassato il campo di contenimento, ma allora come...
Vera si piegò in due e ansimò un paio di volte. Non sapeva che cosa stesse succedendo, sapeva solo che la sua "copilota" non si era mai agitata tanto da farla stare male. – Dobbiamo andarcene da qui – disse, quasi senza fiato. – Sta arrivando qualcosa di grosso.
Ma gli altri non le diedero retta. Sembravano tutti affascinati, come dal richiamo di un canto di sirene, dall'altro ingresso della sala, sbarrato in fretta e furia da armadietti e carrelli ingombri di materiale.
– Sono qui dietro! – disse Mark Sadar, in tono entusiasta, quasi di trionfo, cominciando a liberare l'ingresso, aiutato dagli altri. – Sono qui, li abbiamo trovati!
Tutti tranne Vera si impegnarono a liberare il passaggio e aprire le due pesanti porte, perfino la compassata dottoressa Reginald, che blaterava di come finalmente avrebbe ottenuto le risposte che cercava su quanto era andato storto nell'esperimento. Poi le sentì anche Vera. Le voci.
Voci che chiamavano tra i cigolii delle lamiere contorte, voci che chiedevano aiuto, che li esortavano a raggiungerli, a venire da loro.
Quando le porte furono aperte, il gruppo si trovò di fronte al corridoio più normale che avessero visto dal loro ingresso nella nave. Nessuna corrosione, nessun segno di usura o di danneggiamento da parte di un'entità malevola. Eppure l'impressione che ne aveva Vera era che quella fosse la distorsione dimensionale più intensa e bizzarra che si fosse mai trovata a guardare.
– Non andate! – avvertì gli altri, ma quelli non le diedero retta. Lasciando da parte la prudenza si lanciarono in avanti, e in pochi passi raggiunsero i corpi stremati, accasciati a terra ma ancora vivi, di alcuni tra gli scienziati che avevano lavorato al progetto, le cui voci avevano udito da oltre la porta. Ma quando si voltarono e cercarono di portarli indietro, verso la sala dove Vera li attendeva fissandoli con espressione smarrita, scoprirono che man mano che avanzavano il corridoio si allungava all'infinito, intrappolandoli in una rincorsa eterna della loro meta.
Intanto, dall'altra parte della distorsione, Vera li guardava struggersi e lottare invano. – Maledizione – mormorò tra sé. – È una strada a senso unico, è così, non si può tornare indietro da questa parte.
Non sapeva come lo sapeva, ma lo sapeva. Forse l'essere che abitava nelle sue carni aveva riconosciuto quel tipo di distorsione, e senza parole lo aveva comunicato al suo cervello.
– Restate lì! – urlò Vera agli scienziati e alla loro guardia del corpo intrappolati. Come se avessero potuto andare da qualche parte. – Cercherò di aggirarla, di trovare un'altra via. Una da cui si possa anche uscire.
Ma mentre si allontanava dal laboratorio ripercorrendo i passi che l'avevano condotta fin lì, Vera iniziò a dubitare che l'avrebbe trovata. Ogni rilevazione effettuata, da remoto e da vicino, aveva dato come esito l'assenza di segni di vita, mentre le persone che il suo gruppo aveva trovato oltre la distorsione erano chiaramente vive, o i suoi non si sarebbero sforzati di spostarle. D'accordo, non sapevano ancora come la distorsione dimensionale potesse influenzare la loro strumentazione di rilevamento, ma Vera iniziò a sospettare che non li avessero trovati perché nulla poteva uscire da dove erano rinchiusi, nessun segnale, a malapena ci riusciva la luce, e il suono lo faceva con notevole ritardo: non le era sembrato che quelli che avevano trovato fossero in grado di chiamare aiuto o di parlare. Se la nave era apparsa vuota, disabitata, era perché non c'erano strade che conducessero fuori da lì, solo vie che trascinavano i malcapitati verso l'interno, in una prigione vuota immersa nel vuoto grigiore in cui galleggiava una nave fantasma.

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