giovedì 10 giugno 2021

Vista sull'oceano

Non ho scritto tantissime storie ambientate in hotel o alberghi. La maggior parte di quel che ho trovato nel blog riguarda storie di stampo simil medievale, in cui un gruppo di viaggiatori/avventurieri fa tappa in una locanda. Qui ho aggiunto anche un paio di storie più moderne, non di veri e propri alberghi, ma di personaggi ospiti o affittuari di una stanza in casa altrui... è sempre qualcosa di simile, no? Eccoli qui:


Ridondante (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/02/ridondante.html)
Dietro una porta chiusa (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/05/dietro-una-porta-chiusa.html)
Becero (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/becero.html)
Personaggio: Taliesin (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/05/personaggio-taliesin.html)
Offuscare (http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/06/offuscare.html)
Cicisbeo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/04/cicisbeo.html)


Come racconto di oggi volevo quello che ancora non ho: un vero hotel dei giorni nostri. O uno futuristico, perché fermarsi alla data odierna? Per scrivere questa storia ho usato come tappeto sonoro Underwater Hotel ASMR Ambience (https://www.youtube.com/watch?v=9Z8sEzt_twU&t=131s) di Miracle Forest, e quando l'ho trovato, ho capito di voler raccontare l'altra metà di una storia, quella metà a cui finora non avevo mai dato una voce.



mmagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Ivy Son da Pexels


Gettai lo zainetto con i miei pochi averi sulle coperte e mi diressi al pannello di vetro temperato, spesso quanto bastava per resistere al colpo di coda di una megattera, o ai tentacoli di un calamaro gigante, oltre all'enorme pressione dell'acqua che premeva dall'esterno. Appoggiai il braccio sul vetro e la fronte sul braccio, e mi parve quasi di sentirla, l'umidità fredda che strisciava sulla pelle.
Quando ero bambino, e vivevo nella cupola, una stanza con vista sull'oceano era un lusso che non mi sarei mai potuto permettere. Ma le cose erano cambiate, e la gente aveva iniziato a pagare di più per una stanza senza finestre, qualcosa che desse loro tranquillità e un momento di respiro dall'inferno blu che attraversavamo ogni giorno. Non in monete e banconote, no, e nemmeno in crediti elettronici: ogni forma di valuta ormai era soltanto un ricordo del passato. Il cibo era il pagamento più gradito qui negli avamposti: pesci, crostacei, molluschi, alghe commestibili.
Io non ero mai stato bravo con la fiocina. Era sempre stata mia sorella a procurarsi gli esemplari più pregiati, quelli che ci consentivano di mangiare almeno discretamente negli avamposti riconvertiti in hotel sottomarini, e di riempire d'ossigeno le bombole per la prossima traversata. Era sempre stata lei, fino a quel giorno.
Mi spinsi via dal vetro, girai il divanetto accanto al tavolino in modo che desse le spalle all'immensa finestra sull'oceano e mi ci lasciai cadere. Sul tavolino, il proprietario o più probabilmente una cameriera aveva già piazzato una tazza di tè d'alga nera fumante come dono di benvenuto. L'alga nera era la cosa più inutile che si potesse portare in un avamposto: cresceva praticamente ovunque, tanto fitta da essere paragonabile alle piante infestanti che invadevano un tempo i giardini della superficie, perciò non mi stupiva che pur di smaltirne un po' prima che marcisse, praticamente la regalavano.
Afferrai la tazza tra le dita e sospirai. Il gusto non era granché, ma il calore era il benvenuto. Io non ci avevo mai fatto l'abitudine, preferivo tenere la tazza in mano finché durava il calore e poi fingere di averlo rovesciato "per sbaglio". Adéla invece lo beveva ogni volta, rimproverandomi quando lo sprecavo.
– Henrique, smettila! È cento volte meglio quanto ti scalda da dentro, te lo assicuro, dovresti provarlo!
Non le avevo dato retta nemmeno quell'ultima volta, al Rifugio delle Sirene. Il proprietario di quell'avamposto era un uomo viscido, e aveva chiesto ad Adéla di restare, ma lei aveva rifiutato. Non sapevo se lo avesse fatto per vendicarsi di quel rifiuto, o semplicemente perché era un lurido taccagno. Stavamo sempre attenti quando ci riempivano le bombole, perché l'eventualità di incontrare qualcuno di poco onesto era sempre dietro l'angolo. Non sapevo come Adéla si fosse potuta distrarre. O forse avevano manomesso il suo contatore. Non lo avrei mai saputo, e a quel punto non aveva più importanza.
Qualcuno bussò alla porta. Posai la tazza sul tavolo e andai ad aprire: era l'inserviente con la mia zuppa di pesce e il libro che avevo scelto dallo scaffale all'ingresso. Non potevo permettermi altro, se volevo anche riempire le bombole fino al limite, con il misero bottino che avevo portato all'avamposto chiamato Motel Subterra. Riempire le bombole era la priorità, non si viveva senza respirare. Era un fatto risaputo, che era diventato tragica realtà quando Adéla si era accorta che il suo contatore lampeggiava sul limite di sicurezza. Eravamo ormai troppo lontani dal Rifugio delle Sirene per tornare indietro, e non abbastanza vicini al successivo avamposto, la Tana delle Tartarughe, per raggiungerlo. Eppure avevamo provato, nuotando abbracciati, veloci come non avevamo mai fatto. Io avevo ancora un buon quarto della mia riserva, ma non c'era modo di scambiarci le bombole, o di passarle una parte del mio ossigeno, non lì fuori nel bel mezzo del nulla. Avevo continuato a stringerla e a nuotare anche quando l'avevo sentita contorcersi e poi afflosciarsi. Avevo continuato, caparbiamente, a trascinare il corpo di Adéla con me, sebbene i muscoli delle gambe mi bruciassero e quel peso al mio fianco mi rallentasse così tanto che forse non sarei mai riuscito a raggiungere la Tana delle Tartarughe prima di esaurire anche la mia aria.
Mi aveva salvato uno squalo, portandola via con sé.
Congedai l'inserviente e spinsi il carrello vicino al vetro che dava sull'oceano. Rigirai il divanetto, mi sedetti e attaccai la zuppa, mentre un banco di pesci colorati guizzava oltre il vetro. Ad Adéla piaceva mangiare con quella vista. Diceva che eravamo fortunati. Noi, gli esuli delle cupole, eravamo quelli che ce l'avevano fatta.
Non avevo mai incolpato il proprietario del Rifugio delle Sirene per la morte di Adéla. Lui aveva solo approfittato del potere che aveva acquisito, che qualcun altro, inconsapevolmente, gli aveva dato. I rozzi abitanti degli avamposti erano diventati i padroni del mondo solo grazie a quegli schifosi Gargoyle, i mutati che avevano attaccato le cupole quando io e Adéla eravamo giovani. Assieme a un gruppo di Acquatici che avevano rinnegato l'indole pacifica dei mutati adattati alla vita nel mare, i Gargoyle avevano attaccato le cupole e rubato la nostra tecnologia e rapito i nostri scienziati per costringerli a lavorare per loro sulla superficie contaminata del pianeta. Loro, che avevano le ali per spostarsi rapidamente sulla superficie e la pelle spessa e resistente alle radiazioni, non si erano accontentati dei doni che aveva elargito la natura. No, avevano voluto di più. Avevano voluto prendersi tutto, e distruggere le città sottomarine che noi Veri Umani, gli ultimi rimasti, avevamo costruito per poter continuare a vivere.
Era colpa dei Gargoyle se tutta la mia famiglia era morta, se ero rimasto da solo, un esule in eterno pellegrinaggio da una stanza d'hotel all'altra.

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