giovedì 3 giugno 2021

Cena al Blu di Mezzanotte

Ho scritto parecchi racconti ambientati in un bar o in un altro locale simile, mentre mi sono concentrata di meno per quanto riguarda i ristoranti. Qui una selezione di quelli pubblicati nel blog:

Amaricante (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/04/amaricante.html)
Patrizio Boscoscuro (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/11/patrizio-boscoscuro.html)
Un mentore reticente (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/11/un-mentore-reticente.html)
Perdersi a Natale (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/12/perdersi-natale.html)
La giustizia degli alberi (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/03/la-giustizia-degli-alberi.html)
Innamorarsi di un genio (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/12/innamorarsi-di-un-genio.html)
I commensali silenti (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/01/i-commensali-silenti.html)
Dietro a un bancone (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/02/dietro-un-bancone.html)
Insieme per caso (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/04/insieme-per-caso.html)
Mescere (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/05/mescere.html)


Nel riportarle ho notato una prevalenza di storie ambientate in bar e caffetterie, perciò per oggi ho preferito concentrarmi su un racconto che avesse invece come scenario un ristorante. Ne ho immaginato uno futuristico, perciò per scriverlo, ho usato come tappeto sonoro Midnight Diner ASMR Ambience (rainy night in surreal restaurant) (https://www.youtube.com/watch?v=4Eb9YhiO5B0&t=3059s) di Miracle Forest.



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Hasan Albari da Pexels


Non ero abituato a mangiare in tutto quel silenzio. Non quando sapevo di essere in un locale affollato.
Il Blu di Mezzanotte, con la sua atmosfera azzurrina e soffusa, la caligine rinfrescante e profumata che danzava sul pavimento, i suoi smorzatori di voce a ogni tavolo e le pietanze bizzarre, innovative anche per questo ventiquattresimo secolo, stando a quanto avevo sentito dire era uno dei ristoranti più costosi ed esclusivi di tutta Metronas, uno di quelli sempre al completo, il tipo di locale in cui per trovare posto dovevi prenotare con mesi di anticipo. A secoli di distanza dalla mia nascita e con un mondo completamente stravolto, a quanto pareva certe cose non cambiavano.
Comunque, non era il locale che avrei scelto per la mia prima cena con Kàli da quando mi ero trasferito a Metronas. Primo, perché non me lo sarei potuto permettere, e secondo, perché non ero così pretenzioso. A me sarebbe andata bene anche la pizzeria all'angolo del palazzo in cui passavo le mie giornate da cavia, anche se la pizza lì non aveva lo stesso sapore che aveva a casa; ma gli elfi presso i quali ero "ospite" avevano insistito, e pagavano loro, perciò tanto valeva approfittarne.
Studiavo il menù, zeppo di nomi che non mi dicevano nulla, quando Kàli mi raggiunse al tavolo.
– Scusa il ritardo – mi disse, passando una mano sulle squame delle braccia imperlate di pioggia: ovviamente, da creatura acquatica qual era, non si portava mai un ombrello. Mentre attendevo lei l'avevo sentita dal mio tavolo, accompagnata dal crepitio di tuoni lontani, la pioggia che batteva sulle finestre e sul selciato e che si faceva più intensa le rare volte in cui la porta si apriva, così come sentivo nitidi nel silenzio lo stridore delle posate e i passi ovattati dei camerieri, ma ovunque mi voltassi, tutt'intorno a me nella penombra nebbiosa, gli altri ospiti parevano boccheggiare muti come pesci per effetto degli smorzatori di voce. Kàli, che lo sapeva, non ebbe alcuna remora nel chiedermi a bruciapelo: – Ti stanno trattando bene?
Le indicai il lusso da cui eravamo circondati. – Guardati attorno. Sono il loro unico prezioso volontario Changeling, secondo te correrebbero mai il rischio di scontentarmi? – Sogghignai, prima darle la risposta seria: – Gli esami non sono mai troppo dolorosi o invasivi, le prove a cui mi sottopongono, non così difficili. Qualche volta, la sera, sono stanco morto, ma non posso dire che io non ci guadagni qualcosa da tutto questo. Ho scoperto così tanto su questo... – abbassai gli occhi alle mie mani – ...nuovo me stesso che non avrei mai potuto imparare da solo. Soltanto una volta abbiamo esagerato, e quello è stato davvero brutto. – Al contrario di lei, nonostante gli smorzatori, mi venne da parlare a voce bassa. – Dicono che sono andato in carenza di mana, e che il mio fisico non può reggerlo. Ma ci tengono a tenermi in vita, perciò d'ora in poi ci andranno più cauti.
Tra tutte le informazioni che avevo guadagnato da quello scambio, quest'ultima era la peggiore notizia che potessero darmi. Era ufficiale: mio fratello Jake e io non potevamo tornare a casa, nel nostro tempo, non tanto per il nostro aspetto che appariva spaventoso quando non imitavamo quello di un'altra variante umana, ma perché non saremmo durati un giorno nell'atmosfera priva di mana del ventunesimo secolo.
Sospirai, guardando il menù posato sul tavolo. – Non ci capisco niente di tutta questa roba. Tanto vale ordinare qualcosa a caso.
– Per tua fortuna ho lavorato in un locale simile, perciò posso evitarti pietanze che contengono rigurgiti o fluidi che sono certa non gradiresti, con i tuoi gusti da ragazzo del passato – commentò Kàli allegramente, e non capii se scherzasse o meno. – Non ti conviene dare una sbirciata in cucina... a meno che tu non voglia scappare a gambe levate.
Ecco: a quel punto ero certo che avrei preferito la pizzeria all'angolo. – Hai... hai lavorato in un locale del genere? – le chiesi, per evitare di pensare al resto del suo discorso.
– Sì, a Neon Anghels, non a Metronas, ma si somigliano tutti. – Kàli si strinse nelle spalle, e di fronte al mio sguardo sconvolto, aggiunse: – Che c'è, non pensavi che fossi un'Urbana? Ho vissuto per parecchi anni in una metropoli, prima di scoprire le mie attitudini e ritirarmi nella Riserva.
Mentre parlavamo una delle cameriere ci raggiunse. Apparteneva a una variante umana che non avevo mai visto, probabilmente tra le più rare, un'Aberrazione come me e Kàli: era estremamente magra, tanto che mi stupiva riuscisse a tenersi in piedi e camminare, e dalla sua pelle azzurro-grigia si levava la stessa nebbiolina profumata che si agitava sul pavimento. Non avevo mai visto qualcuno come lei, eppure era lei che mi guardava con malcelato stupore, a occhi sgranati. Mi chiesi perché, dato che per l'occasione avevo scelto di non apparire come uno degli unici due Changeling esistenti al mondo, ma di indossare il mio vecchio aspetto di umano qualunque. Solo in un secondo momento ricordai che gli umani qualunque, che in questo secolo chiamavano Invariati, erano molto rari, addirittura meno numerosi degli appartenenti a una delle Aberrazioni, escludendo la mia, e se ne stavano generalmente per conto loro, in città autosufficienti create apposta per ignorare il resto di questo folle mondo.
Lasciai che fosse Kàli a ordinare, e dal poco che riuscii a capire mi parve che lei avesse scelto di prendere qualunque cosa nel menù che contenesse il mana in qualche forma, liquida o solida, e mi chiesi se non fosse perché dopo ciò che le avevo raccontato era preoccupata che gli elfi nei loro laboratori non me ne fornissero abbastanza. Come se non si trovasse ovunque attorno a noi nell'aria che respiravamo. Ma poi Kàli mi spiegò che il processo di liquefazione e di brinamento del mana era parecchio costoso, e che dato che non pagavamo noi, tanto valeva approfittarne.
Prima che la cameriera ci lasciasse, allungai una mano e mi decisi a chiederle quello che avevo in mente fin dall'inizio.
– Posso... posso toccarti?
Non avevo ancora assimilato la sua particolare variante umana, e finché il mio corpo non ne decifrava il DNA con il contatto, non sarei stato in grado di assumere le sembianze di uno della sua specie. Per me era una richiesta innocente e logica, ma sia la cameriera che Kàli mi guardarono inorridite.
Toccò poi a Kàli spiegarmi che era proibito per legge il contatto tra clienti e professionisti come camerieri, commessi, intrattenitori e simili, e sempre a lei chiedere scusa alla cameriera per le mie maniere barbare da "ragazzo del ventunesimo secolo".

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