giovedì 24 giugno 2021

Uno zoo tutto per noi

Tra le mie ambientazioni ricorrenti, legate a determinate storie, ho un parco divertimenti in un futuro post apocalittico, un circo che si può raggiungere solo nei sogni e un freak show, ovvero un circo dei mostri... quindi un altro circo, non fosse che per quanto riguarda quest'ultimo ho descritto solamente momenti di vita quotidiana tra caravan e carrozzoni. In ordine sparso, ecco i brani che li riguardano su questo blog:


Quiescente (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/09/quiescente.html)
Uosa (http://lapiumatramante.blogspot.com/2019/03/uosa.html)
9 - Swing - Altalena (http://lapiumatramante.blogspot.com/2019/10/9-swing-altalena.html)
Ridanciano (http://lapiumatramante.blogspot.com/2019/07/ridanciano.html)
Impossibile (http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/05/impossibile.html)
Peripezia (http://lapiumatramante.blogspot.com/2021/02/peripezia.html)
Lepido (http://lapiumatramante.blogspot.com/2021/05/lepido.html)


Nessuno zoo, quindi mi sono concentrata su quest'ambientazione per il mio racconto di oggi. Per scriverlo ho usato come tappeto sonoro Morning at the Zoo (https://www.youtube.com/watch?v=5vYEyNbB9JE) di Relax Enjoy White Noise. Non essendoci molti suoni da animali da zoo però l'ho integrato con altri video, principalmente con ASMR Zoo Visit (https://www.youtube.com/watch?v=JFK1Kl9UWsQ) di Ivi Lily ASMR.



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Photo by Tina Nord from Pexels


La bambina cresceva molto più rapidamente di quanto mi fossi aspettato. Non avrebbe dovuto sorprendermi, sapendo che i cuccioli di altre specie, anche terrestri, diventavano adulti indipendenti molto più in fretta, e noi potevamo mutare in uno o più esemplari di quelle specie ogni volta che lo volevamo. La verità era che, nonostante il cambiamento che aveva coinvolto entrambi, io ero ancora legato ai ritmi e alle concezioni umane, cosa che lei non avrebbe mai conosciuto. Trent'anni di abitudini erano difficili da gettare al vento così, come niente.
Qualcosa di familiare però ancora c'era nelle nostre giornate. Una visita allo zoo, per esempio, come se fossimo stati una famiglia normale. Beh, non proprio.
Lui era diventato molto prudente: aveva scelto con cura la città, lo zoo, e l'orario. Una struttura priva di telecamere, o di personale in servizio nelle ore notturne, in un paesino di provincia. Eravamo entrati che ancora era buio: facile superare muri di recinzione e grate di ferro, quando puoi diventare uno sciame di falene. In un attimo eravamo lì, tra enormi gabbie e ambienti esotici riprodotti artificialmente, a goderci lo spettacolo dell'alba. La bambina correva avanti, curiosa, e ogni volta che vedeva un animale che non conosceva, fosse stato un leopardo, uno scimpanzé, un coccodrillo, subito provava a trasformarsi.
Io e lui acceleravamo il passo per starle dietro, a due o a quattro zampe a seconda dei casi, e a me veniva mentalmente da ridere al pensiero che i bambini sono uguali in tutte le specie, terrestri e non. Anche come un cucciolo di alieno mutaforma, lei faceva esattamente ciò che fanno tutti i piccoli umani: imitare per imparare.
La trovammo di fronte al terrario delle rane, di nuovo in forma umana. Ci indicò un gruppo di batraci variopinti, che probabilmente sarebbero stati velenosi per qualsiasi creatura terrestre, e chiese: – Posso mangiarli?
Scossi la testa. Noi non risentivamo degli effetti di alcun veleno, fintanto che ciò che mangiavamo era vivo, ma il personale dello zoo ne avrebbe notato la mancanza. Provai a spiegarle il concetto di proprietà applicato alle creature viventi, ma lei lo comprendeva ancor meno di quando gliene avevo parlato rispetto agli oggetti. Per distoglierla dai suoi propositi, lui le disse che saremmo andati tutti assieme a caccia una volta fuori di lì, e funzionò, anche se più tardi la vidi guardare con desiderio una voliera di pappagallini variopinti. Non mangiavamo per il sapore di ciò che mettevamo in bocca, ma suppongo che quei colori e quelle forme insolite glieli facessero apparire desiderabili come le caramelle per un bambino umano.
Si fermò di nuovo di fronte al recinto degli elefanti (appena due esemplari in un ambiente ristretto, non era un grande zoo dopotutto) e ce li indicò. – Voi siete mai diventati uno di quelli?
Non ci chiese come si chiamavano, come avrebbe fatto qualunque altro bambino di fronte a un animale che non conosceva. I nomi, per noi che non ne avevamo più di nostri a definirci, non erano importanti. Non ne avevamo bisogno per mutare le nostre sembianze in un animale che stavamo guardando o che avevamo già visto. Tutto ciò di cui avevamo bisogno era una massa sufficiente per riprodurre almeno un esemplare intero o, se più piccolo, più esemplari della stessa specie uniti da una mente condivisa. E, nel caso di un elefante, ci mancava la materia prima per un esemplare adulto, ma lei che come tutti i bambini ci vedeva così grandi ancora non lo capiva.
Lui glielo spiegò mentre passeggiavamo sotto forma umana tra la gabbia dei lemuri e il recinto delle antilopi, poi la spronò a scegliere uno degli ambienti in cui entrare e confonderci con le specie presenti.
Mancava ancora qualche ora prima che il personale umano si facesse vivo per controllare gli animali e dar loro da mangiare, per poi aprire la struttura ai visitatori. Fino ad allora avevamo lo zoo tutto per noi, così ne approfittammo per far pratica passando da un ambiente all'altro, da una gabbia all'altra, da una forma all'altra, con la bambina che correva sempre avanti a noi, desiderosa di sperimentare tutto ciò che poteva e di imparare il più possibile da quella rara e bizzarra attività di famiglia.

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