giovedì 1 aprile 2021

Punti di vista

Tendo ad ambientare le mie storie più nella foresta che nella giungla, perciò queste ultime sono un caso raro. Nel blog sono riuscita a rintracciare solo questi brani:

Nella palude, in salvo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/06/nella-palude-in-salvo.html)
Tumido (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/10/tumido.html)
Cuora (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/04/cuora.html)
Sollucchero (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/05/solluchero.html)


Anche se la definisco "palude", Greye (Krishid per i suoi abitanti) è più una giungla paludosa, perciò l'ho scelta per il racconto di oggi. Per scriverlo ho utilizzato, come tappeto sonoro, Mysterious Jungle (https://www.youtube.com/watch?v=5Jzp5H4mQVE) di Michael Ghelfi - RPG Ambiences & Music.



Immagine liberamente disponibile su 
Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Ray Bilcliff da Pexels


Il primo giorno da sola fu strano. Spaventosamente strano. Lontano dal clan, gli strepiti dei becchi fischianti e dei corvi mi assordavano, e le grida delle famiglie di scimmianfibio si levavano all'improvviso, così vicine al ramo su cui ero sdraiata a riposare che pareva mi urlassero direttamente nelle orecchie. Quando ascoltavo a occhi chiusi potevo sentire la palude stringersi addosso alla mia pelle, carezzandomi le squame come facevano i vapori umidi che salivano sotto forma di bruma dalle pozze. Prima, quando ero con il clan, le loro voci familiari allontanavano tutto questo fragore, così come i fuochi del nostro accampamento asciugavano l'aria, e allora mi pareva d'essere protetta, al sicuro, dentro una bolla. Anche se il mio posto era sempre stato ai margini di quella bolla, io ero comunque dentro.
Sapevo che fuori c'era dell'altro; lo sapevo meglio di tanti altri cuccioli, i fortunati che avevano i posti migliori vicino ai fuochi, e i bocconi migliori quando giungeva il tempo di spartirsi il cibo portato dai cacciatori. Perché se loro avevano avuto i fuochi, io avevo avuto Galkna. Galkna e le sue storie terrificanti sui Ruamakù, i nemici del nostro popolo, sulle loro armi magiche e su come potevano essere combattuti e sconfitti.
Guardando in giù dal mio ramo, tra le foglie protese a sfuggire all'oscurità della terra fangosa, immaginavo a volte di vederne passare uno, di avvertirne l'odore nauseabondo tra la fragranza acidula della resina spillata dai tronchi, il segnale di pericolo che gli esploratori lasciavano, laddove era stata scoperta la presenza di un Ruamakù, agli incauti che si avventuravano troppo lontano dai clan. Naturalmente, nessuno degli alberi che mi circondava recava quel segno. Sarei stata una sciocca ad andare a cercarli, a seguire le loro tracce, perché nonostante le conoscenze proibite che avevo su di loro, o forse proprio perché sapevo così tanto, ero consapevole di non essere ancora pronta ad affrontarli. La mia mente era forte, ma il mio corpo ancora troppo giovane, le squame tenere come i corpi molli delle tirnottke, il cui canto gracidante saliva dalle tane tra le radici di mangrovia. Ci voleva altro tempo prima che imparassi a indurirle come il guscio di una tartaruga. Zanne e artigli non sarebbero stati sufficienti, se non sapevo come proteggermi.
Un giorno sarei diventata una guerriera del clan, e grazie agli insegnamenti di Galkna avrei ucciso molti Ruamakù, e protetto la mia gente. E allora il mio posto non sarebbe stato più ai margini di quella bolla felice, ma attorno ai fuochi, assieme agli altri.

Greye era invadente. Fastidiosamente invadente. Non bastava che quel cicaleccio continuo sopra le nostre teste attutisse il suono delle nostre voci, no. Greye doveva proprio buttarci addosso i suoi nugoli di insetti, e il fetore marcescente che saliva dalle pozze d'acqua stagnante. La pomata di Leda era sufficiente a tenere a bada le zanzare, ma non poteva nulla contro l'umidità che ci appiccicava addosso i vestiti. La nostra guida procedeva sicura verso le riserve di caccia che il governo aveva predisposto per i turisti, e si diceva certa di poterci aiutare a trovare la bestia che cercavamo, sebbene non fosse una di quelle a cui il turista medio chiedeva di sparare di solito. Non era parso molto contento quando gli avevamo detto che quella bestia noi la volevamo catturare viva.
– Fosse per me, se questo posto schifoso non mi desse da mangiare, raderei al suolo tutto e bonificherei la fanghiglia – aveva  commentato, prima di inoltrarsi tra gli alberi fitti in testa al nostro gruppetto, sollevando i piedi tra lo sciaguattio della melma. Matt aveva dovuto lanciare un'occhiata minacciosa a Leda per evitare che la sorella, da brava ambientalista, attaccasse la solita tiritera sulla conservazione della flora e della fauna e di quanto i mutaforme fossero creature intelligenti e incomprese.
A me bastava sapere che quei mostri ammazzavano esseri umani, e che lo facevano con una tale barbarie e accanimento da non avere da parte mia la giustificazione che concedevo alle bestie feroci, che uccidevano per fame o per istinto. Perciò, con buona pace della flora e della fauna locale, io non esitavo ad accettare come più ragionevole e sensato il punto di vista della nostra guida.

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