giovedì 15 luglio 2021

L'ancella Besta Rei

Di templi ne ho molti, in varie ambientazioni, ciascuno dedicato a una o più divinità di pantheon inventati, o a un elemento, o ancora a una pratica divinatoria. Di tanti non ho nemmeno scritto sul blog, anche se in alcuni brani tra i personaggi ci sono i sacerdoti che li abitano. Meno frequenti sono le chiese, specie se appartenenti a una religione che esiste realmente, ma ogni tanto qualcuna fa capolino. Ancor meno scrivo di tombe, cripte o mausolei, anche se mi pare strano con tutti i vampiri che ho per personaggi. Comunque, almeno un caso, appartenente alla fantascienza, sono riuscita a trovarlo. Se ti va di leggere i brani sui luoghi della religione nel blog, eccoli qui:


Halleluia (http://lapiumatramante.blogspot.com/2016/12/halleluia.html)
Oniromanzia (http://lapiumatramante.blogspot.com/2017/01/oniromanzia.html)Crisma (http://lapiumatramante.blogspot.com/2017/04/crisma.html)
Eburneo (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/02/eburneo.html)
Difficile ritorno (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/09/difficile-ritorno.html)
Rubizzo (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/10/rubizzo.html)
Estraniare/Estraniarsi (http://lapiumatramante.blogspot.com/2021/02/estraniareestraniarsi.html)


Volevo appunto presentare il tempio di una sacerdotessa in esilio su cui ho già scritto due brani in questo blog, perciò ho pensato di dare un'occhiata al suo passato, prima che la sua città fosse distrutta e lei fosse in fuga in compagnia di un giovane arciere. E sono andata così indietro nel passato, da aver deciso di scrivere del suo inizio, quando ancora non era una sacerdotessa. Per farlo ho usato questo tappeto sonoro: Hellenic & Roman | Relaxing Ambience Music - The Temple of Apollo (https://www.youtube.com/watch?v=DyMNd-wA_Vk) di Roselight Moon.



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Photo by Markus Spiske from Pexels


Posso descrivere con una sola parola il ricordo della mia prima visita al tempio di Endera: solenne. Naturalmente, all'epoca non lo avrei definito così. Avevo solo cinque anni, e non avevo parole per dire come mi sentissi in quel momento. Sapevo solo che tra le colonne alte e lisce, nel silenzio rotto da passi leggeri, da qualche bisbiglio e dall'occasionale tintinnio del sistro, c'era un'immensità che il mio giovane spirito non riusciva a comprendere. Il fumo dell'incenso, sospinto dal crepitio delle fiamme, mi riempiva le narici di un odore sconosciuto e misterioso, e che tuttavia rilassava le mie membra, e mi faceva sentire protetta, mi faceva sentire a casa. Camminavo a testa bassa, come se avessi già assorbito, senza comprendere come, la devozione di mia madre, delle ancelle e dei chierici, figure eteree, bellissime, nonostante le vesti semplici e i piedi scalzi. E la sacerdotessa, se mi avessero detto che era la Dea Endera in persona, non avrei stentato a crederlo tanto era soave la sua voce, austero il suo sguardo.
Anno dopo anno, mese dopo mese, io non aspettavo che quella visita, e alla processione rituale dei nove Dei protettori di Laeverth, io attendevo con più trepidazione, sopra tutti, la fila candida e composta proveniente dal tempio dedicato alla Dea Endera.
Solo con il tempo, con la maturità data dagli anni dell'adolescenza, compresi il valore di ciò su cui la Dea dei Messaggi e del Dovere presiedeva. E la mia risoluzione crebbe ancor di più. Molti dei miei coetanei non sapevano decidere dove prestare servizio durante il tradizionale Anno Donato che segnava il passaggio dalla fanciullezza all'età adulta. In quale tempio o in quale ramo delle forze armate avrebbero trascorso quei dodici mesi, per molti era una decisione da rimandare fino all'ultimo, un fastidio necessario, e non era raro che alla fine qualcun altro decidesse per loro, con il solo beneficio di poter scegliere se preferivano la via sacerdotale o quella militare.
Non era il mio caso. Io sapevo fin da giovanissima dove avrei voluto trascorrere quell'anno, ed ero certa che sarebbe stato solo il primo di molti a venire.
Quando finalmente indossai la veste candida e grezza da ancella, e fui accompagnata nelle celle spartane che costituivano gli alloggi del clero di Endera, c'erano altri due ragazzi con me, un maschio e una femmina. Loro non avevano scelto, loro erano stati assegnati. Il servizio a Endera non attirava molti giovani volontariamente, e chi poteva cercava di entrare nei templi più opulenti e gioiosi, quelli di Dei che governavano l'amore, la fortuna, la natura, la luce del sole. Quelli che restavano, gli indecisi, i ritardatari, finivano al tempio di Endera, o al servizio del dio dell'oltretomba.
I miei compagni si lamentavano in continuazione di dover camminare scalzi, o con solo una lieve fasciatura sui piedi a proteggerli; protestavano sottovoce per il letto scomodo e duro, per il freddo, per il cibo semplice, spesso uguale per più giorni di seguito, e per il lungo tempo passato in piedi in silenzio ad accompagnare i chierici, o inginocchiati durante le ore di preghiera. Sbigottirono nello scoprire che io, al contrario di loro, avevo scelto volontariamente ciò che loro vedevano come una tortura, e che non me ne sarei andata come intendevano fare loro, senza voltarsi indietro, al termine dell'anno prescritto.
Non potevano capire, ma io inspiravo il dolce aroma dell'incenso, e sapevo di essere a casa.

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