giovedì 22 luglio 2021

Lo strano caso di Kathy

Per me è facile immaginare un racconto ambientato in un ospedale, avendoli frequentati almeno da paziente, e dunque in prevalenza tra le tre si può trovare questa ambientazione nel mio blog. Più difficile è scrivere una storia all'interno di una stazione di polizia o, o ancora peggio di una caserma dei vigili del fuoco: almeno, nel primo caso, ho un brano che si avvicina molto, seppure in chiave fantastica, a una prigione con annessa postazione delle guardie, e pure gli uffici dei Bollatori che un personaggio ricorda nel primo brano su un ospedale possono essere classificati come tali, considerando i Bollatori come la "polizia" del mondo di Essensis. Se ti va di leggere i brani di cui ho parlato, eccoli qui:


Una manciata di ricordi (http://lapiumatramante.blogspot.com/2017/11/una-manciata-di-ricordi.html)
Il paziente (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/09/il-paziente.html)
Sbalestrato (http://lapiumatramante.blogspot.com/2019/08/sbalestrato.html)
Quel grazie su un biglietto (http://lapiumatramante.blogspot.com/2019/12/quel-grazie-su-un-biglietto.html)
Terrore dall'alto (http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/01/terrore-dallalto.html)


Come al solito cerco di ampliare i miei orizzonti e scrivere ciò che ancora mi manca. Ma per quanto mi sforzassi, non ho trovato nessuno dei miei personaggi che avesse un motivo per recarsi in una caserma dei vigili del fuoco, mentre avevo già un personaggio che lavora nella polizia di Londra. Lo so che per scrivere seriamente quella storia ho bisogno di fare un po' di ricerca, almeno per quanto riguarda la parte ambientata sulla Terra, ma intanto provo a buttare giù un'idea, e non trovando un tappeto sonoro su un ufficio della polizia londinese, ho provato a ricorrere a questo come sottofondo: Video Game Ambience Asmr - (Heavy Rain) Busy Police Station Atmosphere | Relaxation/White Noise (https://www.youtube.com/watch?v=qVzY1wP_-MY) di Video Game Ambience Asmr.


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Photo by cottonbro from Pexels


La ragazzina sedeva composta al di là della mia scrivania, stringendo tra le braccia uno zainetto blu, e sembrava molto più piccola, fragile e smarrita nel mezzo del familiare via vai dei miei colleghi di quanto non lo fosse stata là fuori, di fronte a quello strano fenomeno che per metà del pomeriggio aveva spezzato in due una strada di Londra, costringendoci a chiuderla al traffico e a interpellare ogni esperto in quel campo. Se chiudevo gli occhi riuscivo ancora a vederla, quella nebbia oscura che fagocitava un'auto con tutti i suoi occupanti. Li riaprii e fissai la ragazzina, cercando di non pensarci.
È acqua passata. Storia chiusa, problema risolto, Andrew. Ora devi solo occuparti di lei.
– Dunque, Katherine...
– Kathy – mi corresse lei con la sua voce acuta. – Mi chiamano tutti così.
– Va bene. Kathy. Ho bisogno del nome dei tuoi genitori, il tuo indirizzo di casa, il numero di telefono... – Cercai tra i fogli sparsi sulla mia scrivania, aggrottai la fronte, poi feci un cenno al cadetto assegnato alla nostra squadra, che arrivò solerte con il modulo che mi serviva.
– Posso occuparmene io – mi disse il cadetto, una giovane donna che si era già dimostrata molto brava con i bambini, in precedenza. Scossi la testa e la ringraziai, e lei se ne andò dopo aver rivolto alla ragazzina un rassicurante sorriso, uno di quelli che sembravano dire "andrà tutto bene!".
Presi una penna, e con il modulo di fronte a me ripetei la domanda: – Come stavo dicendo, dobbiamo contattare i tuoi genitori...
– Quelli non sono i miei genitori – mormorò lei, in un tono triste e serio che mi fece drizzare le orecchie. Chinò il capo, e la frangetta le calò sugli occhi.
Mi guardai attorno, mentre valutavo gli scenari che quella frase aveva aperto ai miei occhi. Un caso di rapimento non era di mia competenza, ma dopo quello che avevamo realizzato assieme, riportando indietro tutto ciò che era stato ingoiato dalla nebbia nera prima di dissipare quel fenomeno, sapevo di avere la sua fiducia, e che lei non si sarebbe confidata con qualcun altro. E in ogni caso il detective Roberts sembrava impegnato, perciò tentai di sondare il terreno con cautela.
– Ti hanno... portato via dalla tua famiglia?
La ragazzina scosse la testa e io tirai un sospiro di sollievo. Tutta colpa di quella strana giornata, ero stato troppo frettoloso nell'immaginare la situazione peggiore.
– No, ma mi hanno adottato. Insomma, dev'essere così, no? – La ragazzina alzò la testa e mi fissò negli occhi, e il suo sguardo tornò ad essere magnetico, antico, come quando mi aveva attirato lontano dai miei colleghi, e poi guidato con le sue istruzioni per risolvere il problema che avevamo di fronte, quando avevo insistito che non potevo permetterle di rischiare, che dovevo farlo io.
– Lo hai visto, no? – accennò allo zainetto in cui aveva nascosto la sfera viola che era stata lo strumento del nostro successo. Aprì un po' la cerniera, e i rumori che ci circondavano, i passi, le voci, gli squilli del telefono, i ticchettii delle dita sulle tastiere si attenuarono, isolandoci in una bolla di quasi silenzio. Mi sembrò che fossimo soli, io e lei, quando la ragazzina proseguì: – Non lo so da dove vengo, ma di certo non da qui. Forse da un altro pianeta, o da un'altra dimensione. Forse quella cosa in strada era una porta verso casa, e io ho sbagliato a chiuderla.
– Kathy, Kathy... non saltare a conclusioni affrettate – mi alzai e mi protesi oltre la scrivania, a richiudere la cerniera del suo zainetto. I rumori, di colpo, tornarono a esplodermi nelle orecchie. Mi sedetti e con un gesto fermai il cadetto che nel vedere quell'agitazione aveva mosso qualche passo verso di noi. "Va tutto bene", formulai con le labbra, in silenzio, e lei mi rivolse un cenno d'intesa.
– Kathy, anche se hai trovato un oggetto mistico dagli strani poteri, non significa che tu...
– È mio – ribatté la ragazzina con un cipiglio deciso. – Sono sicura. È venuto da me, intendo, da dentro...
Kathy zittì di colpo. Un altro cadetto, un ragazzotto barbuto molto meno rassicurante della mia giovane collega si era avvicinato alla mia scrivania. Lo riconobbi: era assegnato alle telecomunicazioni.
– Megan del centralino dice di avere in linea una madre preoccupata dalla scomparsa della figlia – interloquì il cadetto, quando alzai gli occhi su di lui. – Dalla descrizione ho pensato potesse essere la tua bambina smarrita. Sei tu Kathy, vero? – chiese il cadetto, girandosi verso la ragazzina.
– Non sono una bambina! – sbottò subito lei, ricordandomi come aveva protestato quando ero stato io a fare quell'affermazione.
Be', caso chiuso, Andrew.
L'anomalia sulle strade di Londra era scomparsa senza provocare vittime, i genitori della ragazzina erano stati ritrovati. Pensavo di poter voltare pagina e lasciarmi quella strana storia alle spalle, e invece mi sbagliavo.
Il caso che riguardava le origini di Kathy era tutt'altro che chiuso, e non avevo alcuna idea, quel giorno, che lei sarebbe tornata a rivolgersi a me affinché l'aiutassi a scoprire la verità.

Nessun commento:

Posta un commento