giovedì 29 luglio 2021

Missione 2019: il mondo al tramonto

Ho scritto più volte storie ambientate in treno o in auto, forse perché assieme agli autobus sono i mezzi di trasporto di cui ho più esperienza e dunque ricordi. Altri li ho conosciuti tardi e non li frequento molto, e qualcuno non l'ho mai sperimentato, perciò dovrei fare uno sforzo d'immaginazione per descriverlo, e rischio pure di non farlo bene. ad ogni modo, qui ci sono, in ordine cronologico, le storie di treni, di stazioni e di automobili che ho raccolto nel blog:


Glissare (http://lapiumatramante.blogspot.com/2017/05/glissare.html)
La damigella in pericolo (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/02/la-damigella-in-pericolo.html)
Chi diavolo sei? (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/08/chi-diavolo-sei.html)
Perfect day (http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/12/perfect-day.html)
Personaggio: La polvere gialla (http://lapiumatramante.blogspot.com/2019/04/personaggio-la-polvere-gialla.html)
Bolide (http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/05/bolide.html)
Beccata a leggere (http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/05/beccata-leggere.html)
18 - Train - Treno/allenare (http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/08/18-train-trenoallenare.html)


Mi piace sperimentare, dunque mi sono buttata nello scrivere di un viaggio in aereo, l'ultimo mezzo di trasporto in cui mi sarei mai sognata di ambientare una storia. Per aiutarmi ho usato il tappeto sonoro e le immagini del video Airplane Cabin Ambience White Noise Sound for Relaxing #198 (https://www.youtube.com/watch?v=kbsmLxSEJv4) di Winter Whale.



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Guardai il mondo scorrere piano dietro il finestrino, mentre l'aereo si girava e si posizionava all'inizio della pista. Era assurdo. Era da anni che viaggiavo attorno al mondo con loro, a scongiurare disastri di cui nessuno avrebbe mai saputo niente, eppure era la mia prima volta su un aereo.
– Nervoso? – mi chiese Vindica, con quel suo sorriso accattivante e sicuro di sé. Non riuscivo a capire di che colore fossero i suoi occhi dietro le lenti, ma immaginai che fosse passata al rame degli Earanphies, per poter leggere le mie emozioni. Anche se non ci voleva lo Shanekth degli empatici per capirlo.
– Non vedo perché abbiamo dovuto prendere un aereo – ribattei, in tono seccato. Era un modo di spostarsi lento, e affollato. E io, da quand'ero con loro, avevo iniziato a sviluppare un'avversione per le masse umane racchiuse in spazi ristretti.
– Perché serviamo qui – bisbigliò lei, appena udibile tra la voce metallica che ripeteva le istruzioni in inglese, dopo averle sciorinate in cinese o mandarino o quello che era.
Sentii la sua mano stringere la mia mentre guardavo fuori dal finestrino. Un altro aereo atterrò sulla pista vicina, e io desiderai essere lì.
Avevo affrontato tante cose da quand'ero con loro, invasori alieni, ovviamente, ma anche minacce terrestri come incidenti che coinvolgevano pericolose sostanze chimiche, la scoperta di nuove armi che potevano danneggiare i miei amici, e una volta avevamo messo in sicurezza un laboratorio di fisica delle particelle piuttosto famoso durante un esperimento un po' azzardato, ma nulla era paragonabile a quell'attesa spasmodica che mi torturava. La voce infine concluse, augurandomi di rilassarmi durante il viaggio, come se fosse possibile, e l'aereo si mise in moto lentamente, troppo lentamente.
Sospirai.
– Non possiamo fare adesso... qualunque cosa dobbiamo fare e andarcene via? – le chiesi. Sembrava si divertisse a stuzzicare le mie paure; più di una volta, da quando mi aveva rivelato la verità sul suo mondo sotterraneo, mi ero chiesto se mi stesse mettendo alla prova.
Non dobbiamo attirare attenzioni, mi disse, insinuandosi nella mia mente nonostante le barriere che mi aveva insegnato ad alzare. Ricordatelo sempre: noi non esistiamo.
L'aereo prese velocità e il cuore mi balzò in gola. Strinsi i braccioli e mi agitai sul sedile, e all'improvviso il mondo s'inclinò all'indietro, mentre una pressione che pareva gravare sul mio petto e sullo stomaco m'incollava la schiena all'imbottitura dello schienale. In breve tempo il mondo fu sotto di noi, con palazzi minuscoli e un verde punteggiato di macchioline indistinte, ed era quasi... bello. La linea delle nubi fu al nostro fianco, e poi si richiuse sotto di noi, lasciando solo un mare uniforme di sbuffi soffici e candidi. Non avrei mai immaginato di poterle vedere da questo lato; quando potei slacciarmi le cinture di sicurezza, lo feci e mi sporsi verso il finestrino. Appoggiai entrambe le mani sul vetro e fissai fuori, curioso come un ragazzino.
La sua risata sommessa giunse alla mia mente. Ora finalmente sai cosa vuol dire essere uno di noi.
Mi girai di scatto. Quando? pensai, e non riuscii a capire di che colore fossero i suoi occhi dietro le lenti, se del viola che era la sua sfumatura naturale o di un qualsiasi altro Shanekth i cui poteri le servivano per la missione.
Lei distolse gli occhi. Quando verrà il momento.
Vindica mi aveva promesso che avrebbe diviso il suo fuoco con me, che mi avrebbe reso davvero uno di loro, perché seppur umano io ero il suo compagno. Ma continuava a rimandare, e mi chiesi che cosa sapesse che non mi voleva dire.
Concentrati.
Nell'udire qualche colpo di tosse due file più avanti, nei posti centrali, li accennai a Vindica. Lei scosse la testa e si girò leggermente indietro. Una coppia. Non manifesta ancora i sintomi. Lei andrà in bagno tra un'ora e quarantasette minuti. Mi alzerò al momento opportuno per scontrarmi con lei e somministrarle la cura. Tu dovrai occuparti di lui. Lo troverai addormentato. Sarà facile.
Feci un lieve cenno d'assenso, mentre tornavo a guardare il mondo oltre il finestrino. Piano piano l'orizzonte si tinse d'arancio. Non avevo mai visto un tramonto così stretto. Anche quello era una metafora di come loro vedevano la realtà che li circondava: una sottile stringa di luce tra due mari d'oscurità. Sempre in bilico tra l'essere scoperti, non solo dagli esseri umani, ma anche dagli alieni ufficialmente residenti sulla Terra, e il rischio di lasciarsi sfuggire qualcosa di pericoloso, un evento che non sarebbe mai dovuto accadere, una minaccia per la loro specie, qualunque cosa rischiasse di compromettere la segretezza che era alla base non solo della loro vita, ma anche di quelle degli ospiti extraterrestri delle due ambasciate. Come quel virus.
Non era tanto il virus in sé, mi avevano spiegato, loro ne erano immuni. Era il modo in cui avrebbe cambiato il mondo. Io non vedevo il futuro, ma mi avevano raccontato che, se non agivano subito, il mondo che conoscevamo era al tramonto. Maggiori controlli avrebbero reso più difficile saltare da una parte all'altra del globo senza dare nell'occhio, un'aumentata diffidenza verso gli estranei complicava i pedinamenti e la richiesta di informazioni, ma il problema più grosso sarebbero stati i rilevatori di temperatura a ogni angolo e ogni ingresso, che avrebbero scambiato il fuoco interiore dei miei amici per febbre. Non ci sarebbe voluto molto, mi dicevano, affinché gli esseri umani si rendessero conto che quella non era febbre, che non erano soli, e usassero quegli stessi rilevatori per stanare "i caldi" diversi da loro.
Il vetro era completamente scurito dalla notte e rifletteva il mio volto, l'espressione annoiata dal ronzio che mi tappava le orecchie, quando Vindica mi diete una leggera gomitata e si alzò, spaventando la turista cinese che le finì addosso. Mi sporsi a guardare indietro, nello spazio tra i sedili: era vero, lui era addormentato accanto a un posto vuoto.
Tempo di entrare in azione.

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